Commedia assai fiacca diretta dal diseguale Ron Howard, regista capace di dirigere grandi e solidi film come A Beautiful Mind, Cinderella Man, Frost/Nixon – Il duello ma anche opere anonime (Il codice Da Vinci, Angeli e Demoni). Il dilemma è una commedia leggera e debole al tempo stesso che parte da uno spunto esilissimo, il dilemma del titolo, rivelare o meno all'amico che la moglie lo tradisce, per procedere con il freno a mano tirato quanto a ritmo, brillantezza dei dialoghi e svolte narrative. Il cast, fatta eccezione per la bellezza sfolgorante di Jennifer Connelly, è sotto tono: la coppia Vince Vaughn e Kevin James, certamente penalizzata dal doppiaggio e dall'adattamento italiano dei dialoghi, non convince. Sono poco simpatici, e devono ricorrere a tutto il repertorio di mosse e mossette per catturare per un attimo l'attenzione del pubblico. Il comparto femminile (la Connelly e la rediviva Winona Ryder) è semplice tappezzeria, non incide nella narrazione, il rapporto con i rispettivi uomini è trattato in modo assai superficiale e il feeling tra gli attori è pressoché assente. Peggio di tutto, la sceneggiatura di Allen Loeb (Due cuori e una provetta, Mia moglie per finta, Wall Street – Il denaro non muore mai) che perde per strada almeno un paio di personaggi: la Ryder, il cui personaggio è incompiuto e Queen Latifah, troppo sopra le righe per sembrare almeno per un momento credibile nei panni di una manager aziendale. L'erotismo è scadente e il ritmo e la comicità toccano il punto più basso quando entra in scena Channing Tatum, evidentemente non a suo agio in ruoli leggeri. Anche il contesto lavorativo lascia perplessi: poteva essere una buona idea ambientare un film leggero nell'industria automobilistica – i due protagonisti infatti devono vendere un prototipo di auto elettrica a una grossa azienda automobilistica – ma anche qui nulla è scavato e la cornice rimane tale. Rimane poco di buono, più per accenni e forse per caso che per reale volontà registica: i flashback rappresentanti le “balle” raccontate dal protagonista e la seduta collettiva dalla psicanalista. Ma tutto il resto, compreso un finale talmente sciatto da sembrare sforbiciato in sede di montaggio, è ben al di sotto della media delle commedie americane oggi. E ben lontano dai film migliori firmati da Ron Howard.,Simone Fortunato