Secondo, consecutivo, passo falso di Tim Burton dopo il debole Alice in Wonderland ma anche dopo i non eccelsi La fabbrica di cioccolato e Sweeney Todd. Dark Shadows condivide le stesse debolezze di Alice: un abuso del digitale che rende tutto piatto e posticcio; una sceneggiatura non particolarmente frizzante, uno scarso numero di trovate visive e narrative. Con un punto a sfavore di Dark Shadows, perché almeno con Alice Burton si cimentava nell'impresa ardua di portare sullo schermo un romanzo sfuggente come quello di Lewis Carroll mentre per Dark Shadows il regista di Edward mani di forbice aveva sotto mano un testo molto più semplice e peraltro già portato sul piccolo schermo da Dan Curtis nell'omonima serie televisiva degli anni 60. ,La storia è, come spesso capita al regista californiano, molto esile, un semplice pretesto per mettere in scena un mondo fatto di ombre, ambiguità e sentimenti che dai tempi di Edward mani di forbice è sempre stato il tratto distintivo di Burton. Così, la vicenda del vampiro Barnabas Collins, interpretato da Johnny Depp, condannato a un’immortalità senza amore e parallelamente quella della donna che per troppo amore divenne una strega sono sulla carta le classiche storie alla Burton, in cui, come faceva dire lo stesso regista ad uno dei personaggi del poetico Big Fish, “i cattivi non sono malvagi, ma solo persone sole”. E in effetti trabocca di solitudine pure Dark Shadows con il Depp vampiro e non compreso dal mondo, Eva Green strega amareggiata e delusa, e la famiglia, stralunata e bizzarra che ospita il vampiro: Michelle Pfeiffer, bella, altera; Chloe Grace Moretz nei panni di un'adolescente ribelle e il ragazzino, solo e abbandonato dal padre interpretato da Gulliver McGrath. Il problema è che tutto rimane sulla carta e non diventa mai emozione, sentimento e trasporto. Tutto è semplice maniera e ricorda con freddezza i personaggi grandiosi di Burton, quelli di Edward e Batman passando per Ed Wood e la simpatica, mortifera famiglia di Beetlejuice. Il problema è certamente di sceneggiatura: le svolte sono prevedibili, il rapporto tra Depp e le sue donne è raccontato con poca passione e molti personaggi sono poco approfonditi; la Pfeiffer e il maggiordomo a cui presta il volto Jackie Earle Haley sono infatti poco più che soprammobili, ma meglio non sono i due ragazzini la cui caratterizzazione, sulla carta molto burtoniana, rimane incompleta. A complicare le cose una regia piatta e incolore, incapace di dare continuità a trovate estemporanee (come quella, divertente ma fine a se stessa del vampiro che si lava i denti) ma neppure in grado di raccontare l'universo dei sentimenti dei tanti personaggi in campo che purtroppo sono destinati a rimanere algide statuine di cera. Certo, la confezione è di livello anche se a nostro avviso l'abuso del digitale appiattisce e reca solo danni ai personaggi e alla storia: la mancanza totale di fascino della Green, che di solito è una potenza della natura, fa riflettere sull'inopportunità di certi effetti, così come appare molto finto, quasi impagliato, una caricatura di se stesso il vampiro di Johnny Depp. A mancare è quindi una vera ispirazione di un regista che ha sempre riempito le scenografie e i costumi curatissimi di trasporto emotivo e di un pizzico, forse, di autobiografia. Qualità assenti in Dark Shadows: un vuoto esercizio di stile che ricorda tanti film ben più riusciti (non solo quelli di Burton ma anche I Tenenbaum di Anderson), un compitino scritto con bella grafia ma realizzato senza metterci troppo testa e passione. Che peccato.,Simone Fortunato

Dark Shadows
Un vampiro si risveglia nel Maine del 1972 e medita vendetta contro la strega che l'ha maledetto.