Il romanzo è Un destino ridicolo, che il grande Fabrizio De Andrè scrisse negli anni 90 con Alessandro Gennari. Non tra le sue cose migliori, certo non all’altezza delle sue eccezionali canzoni. Eppure poteva avere qualche fascino la storia che si dipanava tra vicoli e carruggi. Per rafforzare il rapporto, il Daniele Costantini cerca di recuperare di De Andrè non tanto le canzoni (comunque citate, fin dal titolo) quanto le atmosfere: le prostitute rimandano a Bocca di Rosa, i criminali di mezza tacca rimandano a tanti quadri evocativi, ma ci sono Via del Campo e La città vecchia. Si mescolano senza fantasia papponi e prostitute, vicoli e locali zeppi di fumo, il porto e i perdenti di una Genova anni 60 che dovrebbe restituire il mitico Faber. ,E invece l’operazione sa di stantio, di falso, al limite di cartolina d’epoca che però non suggestiona e non emoziona. E dire che il cast, pur assemblato in maniera eccentrica, ha nomi interessanti che però non rendono al meglio. Se il giovane Fausto Paravidino (che deluse anche nella sua opera prima “Texas”, per quanto qualche spunto di interesse lo potesse avere) non ha le spalle sufficientemente forti per reggere il ruolo di protagonista, e Claudia Zanella è tanto brava quanto fredda, Filippo Nigro e Massimo Popolizio (che pure sembra replicare lo Sbardella del “Divo” di Sorrentino) se la cavano bene, mentre Donatella Finocchiaro è sprecata in ruolo insulso e Tosca d’ Aquino non ha adeguato spazio. La storia non era eccezionale già di partenza, c’è da dire, ma il ritmo soporifero, la mancanza assoluta di tensione in quello che vorrebbe essere un noir (per quanto venato di commedia) e la svagatezza dell’insieme di questo brutto film, quelle non sono certo responsabilità del mai dimenticato De Andrè,Antonio Autieri,