Federico Moccia, a 12 anni di distanza da “Classe mista 3A”, torna alla regia dopo essere diventato uno scrittore di successo. Non soddisfatto della resa di “Tre metri sopra il cielo” e “Ho voglia di te”, o forse solo desideroso di raccogliere personalmente il frutto cinematografico di quei successi editoriali, dirige “Scusa ma ti chiamo amore”. E non si può negare che abbia una certa mano felice. In fondo non ci sarebbe da sorprendersi, perché Moccia in realtà è figlio d’arte: suo padre era Giuseppe Moccia, meglio noto come Pipolo, che creò quel sodalizio Castellano & Pipolo che negli anni’80 sbancò spesso il botteghino con i film di Adriano Cementano (“Il bisbetico domato”, “Asso”, “Innamorato pazzo”), e non solo (“Mia moglie è una strega”, “Attila flagello di Dio”, “Grand Hotel Excelsior” e tanti altri).,In questo film, Moccia junior non racconta solo i teen ager, come nei precedenti romanzi con protagonisti Step (il personaggio poi portato sullo schermo da Riccardo Scamarcio), ma un gruppo di ragazzine ma anche di quarantenni. Ed è uno di loro, pubblicitario in crisi sentimentale (la fidanzata convivente lo ha lasciato all’improvviso), che si innamora, ricambiato, della diciassettenne Niki. Lei, che fa parte del quartetto di liceali che si è ribattezzato “Onde” (dalle iniziali delle quattro), non si lascia spaventare dalla differenza d’età; caso mai è lui che a un certo punto tentenna e si tira indietro. Ma alla fine, genitori di lei benedicenti, il loro amore trionfa…,Come si diceva, Moccia sia come scrittore che come regista ha qualche abilità tecnica, che può risultare “entusiasmante” per giovani fan come irritante per chi intraveda la furba costruzione a tavolino. Ma, appunto, l’abilità non gli manca. E tutto sommato, se non fosse per fastidiose citazioni letterarie in sovraimpressione e per l’ancor più evitabile autocitazione dei lucchetti dei precedenti romanzi/film, si potrebbe dire che tutto scorre abbastanza fluido, a tratti perfino moderatamente piacevole soprattutto nei caratteri maturi: Raoul Bova, lasciate per una volta parti d’eroe in improbabili film d’azione o in drammi retorici e ai limiti del ridicolo, non se la cava male nella commedia; tra i comprimari, gli “amici” Francesco Apolloni (l’amico fedifrago e maniaco) e Luca Angeletti, ma anche Pino Quartullo e soprattutto Cecilia Dazzi (i genitori di Niki) rappresentano caratteri realistici, ben serviti dalla loro interpretazione (meno bene Luca Ward, ottimo doppiatore che come attore non ha ancora trovato ruoli all’altezza del talento e cui viene qui riservato anche il compito di una voce fuori campo francamente inutile). Piuttosto, certi snodi delle loro vicende sono improbabili (il mondo del lavoro è descritto in maniera assurda) e la sceneggiatura penalizza gli stessi personaggi con salti logici e battute non sempre felici.,E gli adolescenti, “punto forte” di Moccia, che sono chiamati ormai dalla critica i “mocciosi” (o meglio “mocciose”: sono le ragazze le fan dei suoi libri e le principali protagoniste delle sue storie)? Qui, Niki e le sue amiche risultano ancora più insopportabili di film analoghi. È vero, molti minorenni sono ormai, purtroppo, molto simili a loro, superficiali e frivole. Eppure lo sguardo condiscendente e ammiccante di Moccia, come di altri registi che stanno seguendo il nuovo fortunato filone “giovanilista” italiano, oscilla tra il maturo satiro lascivo e il genitore lassista. adulti che, a questi ragazzi, e ragazze, non sanno non solo mai dire “no” o farsi rispettare («Cosa devo fare per farmi dare uno schiaffo da mio padre?» diceva un personaggio di “Notte prima degli esami”: non a caso l’unico film decente del genere, con un minimo di giudizio). Ma che non sanno proporre nulla, perché loro stessi non sanno cos’è giusto: tutto è uguale, “l’importante è che tu sia felice”… La strada se la cercano da sé, queste giovani per cui il sesso – prima ancora che l’amore – è l’unico orizzonte: e infatti la diciassettenne ancora vergine del gruppo è compatita dalle amiche. E quando trova il ragazzo giusto, non perde tempo a recuperare il tempo perduto.,Antonio Autieri