Discreto b movie, diretto da un regista in passato impegnato su ben altri copioni (L'avvocato del diavolo, Rapimento e riscatto, Ray). Tratto da un romanzo di Donald E. Westlake, il grande maestro del thriller poliziesco, saccheggiato ampiamente dal cinema di genere, vive della forza del protagonista, il duro e ruvido Jason Statham, per chi scrive, l'unico attore relativamente giovane (è del 1967) in grado di interpretari ruoli di sangue e botte senza incorrere nel ridicolo. In questo senso, Sylvester Stallone, coinvolgendo l'attore inglese nel cast de I mercenari aveva visto giusto: è Statham, con quella faccia spigolosa e il fisico massiccio a rappresentare quello che i vari Schwarzenegger, Stallone stesso, Chuck Norris e Steven Seagal rappresentavano negli anni 80 e 90. Certo, ora Statham è più che altro un Seagal o un Lorenzo Lamas o un Michael Dudikoff più dotato, perché lontano ancora dall'avere quel carisma e quella presenza scenica che Sly e Arnold peraltro dimostrano di avere ancora oggi. Ma Statham c'è: è credibile in ruoli spesso ambigui, come nel caso di Parker dove è vittima e carnefice al tempo stesso, e bilancia con una recitazione professionale e un'ottima versatilità quanto a spettacolo, debolezze e fragilità degli script in cui è impegnato. Sa recitare, fa a botte picchiando e incassando e ha una faccia da mezzo delinquente che buca lo schermo e non è sprovvisto di ironia. Non è poco. Nel caso di Parker è proprio Statham che fa la differenza. Un po' perché il cast che lo attornia non è all'altezza (non lo è Jennifer Lopez non troppo a suo agio nel ruolo della dark lady; e non lo sono nemmeno Michael Chiklis e compagnia, i brutti ceffi di turno, troppo sopra le righe). Un po' perché la sceneggiatura che John J. McLaughlin (Il cigno nero, Hitchcock) trae dal racconto Flashfire: fuoco a volontà di Westlake, sembra più interessata a rendere credibile il protagonista piuttosto che a mantenere la narrazione coesa, a escogitare buone svolte o a rendere vividi i personaggi minori, compreso un Nick Nolte, bolsissimo. Ben confezionato da Hackford che ci mette professionalità ma nulla di più, Parker è decisamente inferiore agli altri Parker apocrifi cinematografici (il Lee Marvin di Senza un attimo di tregua e il Mel Gibson di Payback, ispirati entrambi al personaggio creato da Westlake che però non concesse mai l'utilizzo del nome): meno complesso piscologicamente, segnato da tanto sangue e tanta violenza e da un pessimismo di fondo, sintetizzato dalla figura oscura e senza radici del protagonista, Parker è un discreto intrattenimento che ricorda solo a tratti le atmosfere nere e senza speranza del grande scrittore di Brooklyn.,Simone Fortunato