Una galleria di ritrattini gustosi e ben disegnati: questo è Il costo della vita, lanciato con lo slogan “la prima commedia dei tempi dell’euro”. Il rapporto con il denaro, e in generale con le nevrosi della vita moderna, è quello che accomuna i vari personaggi: dal tirchio cronico che non riesce ad avere una storia con un donna perché pensa sempre al “conto” al dissipatore generoso rimbrottato continuamente dalla moglie; dall’imprenditore che causa infarto decide di rinunciare a tutto e si innamora di una ragazza qualunque alla giovane ereditiera convinta che gli uomini desiderino il suo portafoglio e non il suo cuore; la prostituta ovviamente dal cuore d’oro che si fa pagare o meno a seconda di come le vada a genio il cliente all’operaia che perde all’improvviso il lavoro e si deve inventare una soluzione per la famiglia. Tutti personaggi in difficoltà con la vita, più che con il denaro: per fortuna che alla fine l’amore interviene, positivamente, per tutti o quasi.,In Il costo della vita troviamo niente più, forse, che veloci ritratti, con annotazioni che non superano il livello dell’abbozzo: la storia, che porta – come spesso capita in film simili – molti personaggi a convergere in situazioni di incrocio, non permette e non concede troppi approfondimenti. Ma in questa commedia ci sono tutti i pregi (e qualche difetto) di quanto un certo cinema francese sia solito dare (per chi l’ha visto, il recente Il cuore degli uomini può essere un termine di paragone): sceneggiatura fluida, dialoghi brillanti e, soprattutto, attori di ottimo livello. Su tutti i mostri sacri Clauude Rich e Fabrice Luchini e l’ormai maturo Vincent Lindon, che a ogni film assomiglia sempre più a Jean Gabin da giovane.,