Ennesimo bel prodotto Disney. Tecnicamente eccellente, vanta come già nei vari La principessa e il ranocchio e Rapunzel, un notevole scavo nei personaggi e l’affronto di tematiche adulte: in questo caso, le tematiche tipiche dell’adolescenza come il distacco tra sorelle amiche, l’amore che – secondo una semplice ma bella definizione del buffo Olaf – “è anteporre il bene dell’altro al proprio”. Definizione che è sintesi efficace di una storia che prende le mosse da La regina delle nevi di Andersen per combinarla con tanti elementi tipici della Disney classica (La bella addormentata su tutti) e del nuovo corso (Rapunzel in primis), quello inaugurato nel 2008 da Bolt e che ha visto l’ingresso in Disney del genio della Pixar John Lasseter, qui produttore esecutivo. Lo zampino di Lasseter si vede: non solo nello splendido corto introduttivo con un Topolino d’annata che gioca con la modernità del 3D uscendo e rientrando dallo schermo, mix di perfezione tecnica e cuore. L’idea di Lasseter portata avanti con La principessa e il ranocchio, Rapunzel, Ralph spaccatutto è di combinare la tecnologia moderna – colori, incredibili fondali, dettagli infinitesimali, profondità di campo, movimenti della macchina da presa prodigiosi – con il cuore di una storia riproposta in modo tradizionale. Al bando le volgarità e le insulsaggini di certi mediocrissimi prodotti Disney alla Mucche alla riscossa; spazio invece alla positività di una storia di riconciliazione, quella tra le due sorelle protagoniste e che ricorda la stessa dinamica di Ribelle. E spazio anche alla comicità slapstick in questo caso garantita dal personaggio di Olaf, simpatico e con l’unica colpa di entrare in scena un po’ troppo tardi. Una bella storia con al centro due protagoniste, uguali e diverse al tempo stesso e ben raccontate da un punto di vista psicologico e affettivo.

Certo, qualcosa poteva essere meglio sagomato: in questa vicenda di affetti e di ricerca, di tenacia e di ostinazione con il personaggio di Anna che, cocciutamente, cerca la sorella perduta convinta nella bontà della stessa, manca un antagonista di livello. Se ne deve essere accorta anche la sceneggiatrice Jennifer Lee, anche regista assieme a Chris Buck, se è vero che sul finale inserisce una svolta poco verosimile e riguardante un cambiamento sin troppo repentino del principe Hans. Come si potrebbe anche obiettare su un abuso di numeri musicali che tradotti in italiano risulteranno meno spettacolari ed efficaci rispetto all’originale. Nonostante qualche difetto e un taglio adolescenziale e femminile che probabilmente renderà il film meno facile per un pubblico di bimbi, Frozen è una fiaba intensa e positiva, sul riannodare rapporti spezzati ma non perduti, sulla capacità di perdonare, di fare cioè esperienza di un grande amore che è proprio quello che ci dice Olaf: mettere davanti ai propri interessi il bene dell’altro. Amore quindi non come pura espressione di un sentimento ma come dono di sé perché sia felice e possa realizzare la propria vita. L’amore insomma raccontato con tanta grazia e con tanta fede proprio da Andersen e dalla sua struggente Sirenetta il cui influsso si sente fino a qui, nei fiordi nordici e ghiacciati da una principessa che non sapeva più amare.

Simone Fortunato