Angola, tre secoli di colonizzazione, tre secoli di dominio portoghese. Il reporter polacco Ryszard Kapuściński parte per l’Angola: è stata annunciata la data della dichiarazione d’indipendenza del Paese, l’11 novembre 1975, accordata dallo stesso Portogallo democratico, poco dopo la Rivoluzione dei Garofani. Dovrebbe essere un momento felice in cui quel pezzetto di terra africana, dai molti fiumi e dalle molte materie prime, inizia a respirare aria di libertà, ma i gruppi armati angolani sono in conflitto tra di loro. La parola d’ordine è “confusão”, confusione. Da una parte c’è l’Unita, Unione Nazionale per l’Indipendenza totale dell’Angola creata da Jonas Savimbi e finanziata da coloni portoghesi, alleata di FNLA, il fronte nazionale per la liberazione dell’Angola guidata da Holden Roberto. Dall’altra c’è l’MPLA, il Movimento per la liberazione dell’Angola nato nel 1956 voluto da Agostinho Neto e guidato da Joaquim  Antonio Lopez Farrasco, che ha formato pochi uomini, tra cui la giovane Carlota Machado, non ancora ventenne. Kapuściński gira per le strade della capitale Luanda, per i luoghi dove vive la gente angolana, dove è possibile comprendere di più cosa accade. Da tre mesi vive nell’albergo Tivoli. Ogni giorno si riunisce nella stanza dell’albergo assegnata alla stampa e scrive, anche poche righe per informare la sua agenzia di stampa. Lo fa usando il Telex che lega, come un filo diretto, la Polonia all’Angola.

Le parole di Kapuściński, diventate il reportage indimenticabile Ancora un giorno, si trasformano in un lungometraggio di animazione diretto dallo spagnolo Raúl de la Fuente e dal polacco Damian Nenow, che arriva in Italia dopo aver vinto il premio per il miglior film di animazione all’Efa, l’European Film Awards. A oggi è il primo adattamento cinematografico tratto dai libri del reporter, l’unico giornalista nel Novecento che ha girato tutta l’Africa per comprendere il Movimento per la liberazione dell’Angola nato nel 1956, voluto da Agostinho Neto e guidato da Joaquim  Antonio Lopez Farrasco, di cui faceva parte – tra i vari uomini – anche la giovane Carlota Machado, non ancora ventenne.

Nel film vediamo Kapuściński girare per le strade della capitale Luanda, per i luoghi dove vive la gente angolana, dove è possibile comprendere di più cosa accade. In giro da tre mesi, voleva far comprendere in Occidente la bellezza e le contraddizioni dei popoli che abitano quella terra. Per questo la sola forma narrativa adatta per poter trasformare Ancora un giorno in un lungometraggio era la via dell’animazione volutamente intrecciata, senza didascalismi, alle interviste ai sopravvissuti, che hanno vissuto quei giorni al fianco di Kapuściński.

Ancora un giorno è un film consigliato per chi ama o vuole conoscere quelle terre e per chi apprezza l’animazione non favolistica che sa restituire realismo e bellezza alle pagine del reporter polacco. Certo, in alcuni momenti, il film stravolge le regole pure della scrittura e della persona di Kapuściński quando cede, ad esempio, al racconto del passato e delle lezioni universitarie. Sono “pezzi” ricostruiti che rischiano di sotterrare la trasparenza, il coraggio e la magnanimità del giornalista. Come quando nei suoi appunti raccolti in Autoritratto di un reporter (lui che aveva ricevuto a 23 anni la Croce d’oro al merito dopo la pubblicazione di un suo pezzo su “Anche questa è la verità su Nowa Hata”) affermava che «lo scrivere non sta tanto in ciò che si pubblica, quanto nelle sue conseguenze. Quando ci si prefigge di descrivere la realtà, ciò che si scrive influisce sulla realtà stessa».

Emanuela Genovese