È uno strano oggetto questo film di David Fincher che ricostruisce con piglio quasi cronachistico le vicende del famoso quanto elusivo serial killer Zodiac (nonostante i forti elementi su un sospetto la sua identità non è mai stata confermata da un arresto, un processo o una condanna), ma anche e forse soprattutto quelle degli uomini che gli danno la caccia, siano essi poliziotti o giornalisti. La storia segue di volta in volta gli uni e gli altri, mostrando come la frustrante indagine condizioni pesantemente le loro vite, logorandone la quotidianità sempre più consumata da una caccia impossibile. Perché se da una parte il killer li provoca con le sue lettere e i suoi enigmi (che il giovane autore di vignette per il San Francisco Chronicle – un Jake Gyllenhaal dall’aria dimessa – è il più bravo a risolvere) dall’altra gli indizi si contraddicono e per la polizia individuare un sospetto non è sufficiente a metterlo sotto processo…
I delitti sono efferati e apparentemente slegati tra loro, i sistemi di indagine ancora bel lontani da quelli iperscientifici a cui ci hanno abituato i film di questo genere (anche quelli dello stesso regista, come Seven) e così Fincher ci mostra anche le difficoltà di comunicazione, gli errori e le mancanze, i tempi che si allungano (il film copre ben più di un decennio). Senza rinunciare, per altri versi, a costruire la pressione su chi indaga, che può sempre diventare a sua volta obiettivo del killer. La regia di Fincher li pedina, gioca sui dettagli e sui colori per aumentare la pressione psicologica sui personaggi e sugli spettatori. Schiacciati dall’ossessione dell’indagine quasi più che dal timore di diventare a loro volta vittime, i personaggi prendono strade diverse anche se i loro destini finiranno per tornare a intrecciarsi.
L’andamento così discontinuo del film, che si concentra prima su un personaggio e poi su un altro (dal giornalista istrione di Robert Downing Jr. al poliziotto testardo di Mark Ruffalo oltre al già citato Gyllenhaal), non sempre aiuta a restare dentro il racconto, ma Fincher è sempre bravissimo a rendere le atmosfere di tensione e le epoche che racconta. Ancor più dell’aspetto giallistico, ciò che resta è la capacità di raccontare dei caratteri; e quindi i personaggi uniti dalla ricerca dell’elusivo assassino restano impressi nella memoria, antieroi di un’indagine che per una volta resta senza soluzione ufficiale (ma chi sia il colpevole lo spettatore ha tutti gli strumenti per capirlo), eppure segna per sempre la vita non solo delle vittime ma anche dei cacciatori.
Luisa Cotta Ramosino