Un anziano direttore d’orchestra ormai ritirato e un regista al suo ultimo film si confrontano con il tempo che passa.

Recensione

 

In un albergo svizzero soggiornano in vacanza, tra i vari ospiti, due vecchi amici. Vecchi in tutti i sensi, perché di vecchia data ma ormai anche molto in là con gli anni. Fred è un direttore d’orchestra ormai lontano dalla musica: neanche la proposta di dirigere un concerto per la regina d’Inghilterra, in onore del principe Filippo, sembra smuoverlo dalla sua ferrea decisione. Mick è invece un regista che, dopo una lunga carriera, prepara il suo film più importante, quello che dovrebbe essere il suo testamento. Attorniato da giovani collaboratori non si decide a trovare un finale. Entrambi sono uomini che hanno dedicato all’arte – alla musica e al cinema – la maggior parte delle energie, riducendo a contorno figli, amori, avventure di cui nemmeno si ricordano. Accanto ai due anziani amici, tanti ospiti dell’hotel, in gran parte vecchi come loro, e figure curiose tra cui un giovane attore americano, frustrato dal fatto di essere apprezzato solo per un film in cui recita dentro un robot, ma anche la figlia di Fred che ha molto da rinfacciare al padre. E che torna precipitosa da un viaggio mancato con il marito, il cui abbandono la porta ad affrontare un probabile divorzio.
Di temi, incontri, spunti ce ne sono tantissimi nel nuovo film di Paolo Sorrentino in uscita un anno dopo il suo premio Oscar per La grande bellezza. È come nei suoi ultimi film, fin troppi. Il confronto con le vicende di Jep Gambardella/Toni Servillo (di cui il Fred di Michael Caine sembra la versione ottantenne e solo più british, come molti hanno notato) viene spontaneo per musiche molto simili (David Lang, da cui era stato preso un brano, qui firma tutte le musiche) l’accumulo di situazioni – anche di pochi istanti – e personaggi, il continuo passaggio da momenti lirici e toccanti ad altri volutamente “bassi” se non trash, la sentenziosità di certi dialoghi e la pregnanza degli argomenti trattati: è sempre molto denso il cinema di Sorrentino, che giustamente vede nello scorrere del tempo e nel rapporto con i figli e gli affetti temi cruciali esistenzialmente, anche quando sembra perdersi in frivolezze e momenti grotteschi, tra cui l’apparizione di un personaggio che allude esplicitamente (davvero troppo, secondo noi) a Diego Armando Maradona; o quando arrivano, attese per tutto il film, prima una miss Universo che regala entusiasmo ai due vecchi arnesi, e poi una diva di Hollywood impersonata da Jane Fonda che porta un carico di verità sgradevoli al regista in difficoltà.
Come sempre in questi casi, sta alla sensibilità di ognuno decidere se la mescolanza di tanti spunti, emozioni (parola chiave, ancor più che in altri film del regista napoletano) e singoli momenti molto forti figurativamente sia riuscita. Il cinema di Sorrentino divide da sempre, e man mano che si afferma come “maestro” internazionale (grazie all’Oscar ha assoldato un cast di grandi nomi davvero notevole) la tentazione tutta italiana di tirarlo giù dal piedistallo aumenta. A noi, che accogliemmo con perplessità inizialeLa grande bellezza che però si conquistò nel tempo un posto speciale nelle nostre considerazioni, questo film sembra proporre gli stessi difetti di bilanciamento aggravati da una minore definizione di personaggi e delle situazioni che dovrebbero dare la temperatura emotiva ed esistenziale al film. Ci rimangono alcune sequenze significative (due riguardano altrettanti bambini), alcune battute e trovate divertenti, interpretazioni di classe (oltre a Caine, un Harvey Keitel che finalmente riesce ad avere una parte importante dopo troppi anni da comprimario e un Paul Dano intenso come sempre, mentre Rachel Weisz dovrebbe comunicare emozioni che rimangono nelle intenzioni), ma tutto molto slegato e meno convincente che in altri suoi film. E anche troppe scene incomprensibili (come una, orribile, che vede due anziani coniugi amoreggiare in un bosco…), estetismi inutili che sembrano provenire dal film precedente e troppi finali quasi tutti poco convincenti (di cui due molto prevedibili, riguardano la moglie del direttore e la Regina…). Sorrentino rimane un grande regista, ma forse dopo l’Oscar doveva scegliere un soggetto completamente diverso, magari un piccolo film con meno ambizioni. Certo è con il passare degli anni la scarsa cura di sceneggiature meno rifinite di quanto si dovrebbe lascia sempre più il segno.

Antonio Autieri