Dramma dell’identità dai risvolti comico-grotteschi. È il quarto film girato da Jason Reitman e la terza sceneggiatura per Diablo Cody, già vincitrice dell’Oscar per lo script di Juno. Ed è il lavoro meno riuscito per entrambi. Per Reitman, che dopo aver inanellato tre film uno più bello dell’altro (Thank You for Smoking, Juno, Tra le nuvole), appare qui meno compatto e originale, per Diablo Cody un passo indietro rispetto alla già non irresistibile sceneggiatura di Jennifer’s Body.
La storia verte su un ritorno a casa e su un amore adolescenziale da cui non ci si è mai affrancati; soprattutto il film è il racconto di una crisi che coinvolge identità, lavoro e mondo degli affetti. In questo la Theron, che torna a casa per riprendere, senza troppa convinzione, le redini della propria vita, è sorella maggiore di Juno; e la sua crisi, di cui porta i segni anche visibili sul corpo e sul volto, non è dissimile dal percorso a ostacoli che dovrà affrontare il protagonista di Tra le nuvole. In questo senso il film è interessante perché mette a fuoco un personaggio smarrito, alla ricerca di qualcosa su cui lei stessa non ha le idee molto chiare. Certo, un rapporto vero e una compagnia umana sia sul lavoro che nel mondo degli affetti, Mavis non pare averlo mai trovato. L’occasione sta in un bigliettino d’invito. L’ex di un tempo (Patrick Wilson, molto rigido: il peggiore del cast) la invita per festeggiare la nascita della sua primogenita. La giovane donna partirà alla volta della piccola cittadina di Mercury, Minnesota, con in testa, più che i festeggiamenti per la bimba, l’idea di riconquistare l’uomo perduto anni prima.
Nonostante sprazzi di autenticità cinematograficamente resi in modo intelligente da Reitman (le sequenze introduttive, la metamorfosi fisica della Theron), il film non ha la compattezza di Tra le nuvole o Juno. La Theron è brava e si impegna a fondo in un ruolo non semplice ma fatica a rimanere in equilibrio tra i vari registri, non aiutata da una sceneggiatura diseguale. Se infatti è riuscito il racconto della dimensione lavorativa di Mavis, con la metafora bella e sintetica del suo lavoro come ghostwriter per una serie di libri per ragazzine intitolata Young Adult (da qui il titolo), quando si innesta il racconto del ritorno a casa, la narrazione si fa zoppicante e meno coinvolgente. Troppi i personaggi che non entrano nel vivo dell’azione (i genitori di Mavis, Wilson e la sua compagna) mentre Matt, interpretato dal sorprendente Patton Oswalt, con il suo carico di dolore e solitudine sulle spalle, non incide come dovrebbe a causa di una scrittura che dosa male elemento drammatico e più leggero e rischia di apparire solo come un patetico diversivo.
Ne consegue che il personaggio di Mavis domina in solitudine, o quasi, l’intero film senza però avere una forza intrinseca, anzi troppo sospeso tra l’essere regina cattiva di una fiaba per giovani adulti e adolescente inquieta, ma fuori tempo massimo, con la bussola della vita da ritrovare. Un’indecisione di sguardo che coinvolge anche la regia, che non è mai compiaciuta e anzi usa bene attori, ambienti e anche un’amara voce fuori campo a commento della vicenda; ma che non dà mai lo scossone in termini di emozione per uno spettatore che, temiamo, rimarrà coinvolto più dalle premesse della storia che dalla risoluzione.
Simone Fortunato