Onesto film d’azione che svela i retroscena sulla vita di uno dei personaggi più affascinanti della saga di X-Men: Wolverine nasce, odia, ama, odia di nuovo e, infine, dimentica tutto. Gli accattivanti titoli di testa immortalano la dura lotta dell’eroe durante tutto l’arco della storia del Novecento: il fascino di Hugh Jackman attraversa le guerre d’indipendenza, la prima e seconda guerra mondiale, il Vietnam e le segretissime – nonché moralmente ambigue – spedizioni del comandante-mentore Stryker. L’animo dell’eroe matura e prende consapevolezza delle barbarie di cui si è reso complice e rinnega il suo passato e il fratello; ma tutto questo non basta a ricreare la giusta psicologia dell’eroe più ambiguo ed accattivante della Marvel. Wolverine è il primo eroe extra-americano (infatti è canadese) che nella sua prima storia a fumetti combatte contro Hulk – e ci fa una magra figura, ma non rimane morto a lungo e risorge a nuova vita, rinfoltisce le file degli X-Men e diventa un mito. Basso, tozzo, rozzo è un diverso tra i diversi: è un cacciatore che stana la sua preda con fiuto sopraffino e la inchioda con le potenti lame d’acciaio; Wolverine “è il migliore in quello che fa, anche se quello che fa non è bello”. Gavin Hood forse ignorava tutto questo, e nel tentativo di coniugare azione e analisi psicologica dirige un film dove in realtà il protagonista non acquista lo spessore voluto (e dovuto): Jackman è bravo nel mostrare ringhio e denti da animale, ma si riduce a interpretare una macchietta che cerca inutilmente di elevarsi a personaggio. Wolverine sfodera gli artigli e li usa anche bene (nello spettacolare duello finale), ma tutto sommato l’impressione è che glieli abbiano un poco smussati.,Andrea Cassina