A tre anni di distanza da X-Men: Apocalisse, la differenza tra il film diretto da Bryan Singer e questo appare veramente apocalittica. Dopo l’ostracismo hollywoodiano nei confronti di Singer, Simon Kinberg (già sceneggiatore di X-Men: Conflitto finale) si cimenta nell’adattamento cinematografico della saga di Dark Phoenix, uscita a fumetti alla fine degli anni 70. Proprio in quanto saga, l’impresa era ad alto rischio, e il tentativo di comprimere il tutto in meno di due ore, a dispetto del grande cast attoriale e tecnico, pare decisamente poco riuscito.
L’azione è ambientata nel 1992: l’appeal dei mutanti è in costante ascesa presso l’opinione pubblica, grazie alle doti di leader di Mystique (Jennifer Lawrence) e alla fama del professor Xavier (James McAvoy), che addirittura può sfoggiare sulla scrivania un telefono che lo collega direttamente col Presidente degli Stati Uniti d’America (e che fa molto vecchio telefilm di Batman). Appaiono i primi contrasti tra Xavier e Mystique, lei convinta che gli X-Men vengano usati dalle autorità per fare immagine, lui consenziente in quanto convinto sia un piccolo pedaggio per la pace tra umani e mutanti.
Quando una strana nuvola di energia cosmica manda alla deriva uno Shuttle con equipaggio a bordo, gli X-Men si dirigono verso lo spazio per salvarne gli occupanti. Durante la spedizione, la potente telepate Jean Gray (Sophie Turner) assorbe l’intera massa della misteriosa forza che metteva a rischio astronauti e X-Men; nonostante lo sforzo sovrumano sopravvive, ma i cambiamenti nei suoi poteri e nella sua mente minacciano la sicurezza di tutto ciò che la circonda. Dopo un litigio, Jean si esilia da Xavier e dall’amico Scott Summers (Tye Sheridan), per cercare pace e aiuto da Magneto (Michael Fassbender) che si è ritirato in solitudine per guidare una sorta di comune anarchica dei mutanti. Ma neanche Magneto potrà evitare i cambiamenti sempre più spaventosi di Jean; inoltre la sua incredibile energia attira l’attenzione di una aliena in grado di mutare aspetto (Jessica Chastain), che la brama perché dia potere alla sua razza che vuole invadere la Terra.
La trama che si intreccia intorno alla tragica figura centrale di Jean Grey però è flebile. Piuttosto che concentrarsi sull’aspetto drammatico della vicenda, il film sciorina una serie di sottotrame di scarsa energia e (diciamolo) abbastanza noiose. I personaggi degli X-Men sembrano avulsi da una dimensione realistica e in compenso i cattivi sono delle figure di carta (il personaggio di Jessica Chastain non ha nemmeno un nome, quasi fosse interpretato da una comparsa invece che da una plurinominata agli Oscar). La scena più convincente del film si svolge su un treno-prigione diretto a un campo di detenzione, ed è il momento più forte della storia, poiché le sue coreografie fanno finalmente un uso ponderato delle dimensioni ristrette dell’ambiente, degli intelligenti trucchetti di Nightcrawler (Kodi Smit-McPhee), e Magneto può dimostrare la sua abilità nella brutale torsione e lancio di metalli vari per schiacciare e infilzare gli attaccanti alieni. Nondimeno, anche questa sequenza alla fine si frantuma in varie lacune di continuità, che servono più che altro a oscurare in chi guarda ogni riferimento a quanti nemici siano effettivamente presenti su quel maledetto treno.
Anche la colonna sonora di Hans Zimmer (uno dei migliori compositori di musiche da film del mondo) è assolutamente sprecata, e il montaggio (di Lee Smith, Oscar per Dunkirk) sembra limitarsi a cucire insieme una scena di azione con l’altra. Il risultato è che X-Men: Dark Phoenix ha l’aspetto di un film senz’anima, povero. Il che stride ancor di più, se si pensa che è costato circa 200 milioni di dollari.
Beppe Musicco