La serie televisiva “X Files”, vero e proprio fenomeno di culto degli anni Novanta, è una di quelle invenzioni geniali e dirompenti che hanno contribuito a modificare la storia e l’assetto della televisione (è il serial, insieme a “Twin Peaks”, che ha seminato di più e meglio, perché potessero crescere piante come “C.S.I.” e “Lost”, solo per fare due esempi di serie di successo). Gli incubi e le inquietudini di fine Novecento trovarono in “X Files” un’incarnazione ideale e puntuale: il piccolo schermo, con i suoi confini ben delineati, rese questa paura una cosa “familiare” e il format televisivo, con le sue caratteristiche di ritualità e ripetizione, ridusse la promessa d’inquietudine ad un’abitudine domestica rassicurante. Questa formula cessò di essere così fortunata quando, sugli stessi divani su cui guardavano “X Files”, i telespettatori di tutto il mondo assistettero – in diretta e senza (poter/voler) cambiare canale – alla strage dell’11 settembre 2001: la storia superò la fantasia e gli incubi che “X Files” aveva per un decennio annunciato (e che gli spettatori avevano esorcizzato guardandolo) diventarono improvvisamente reali e concreti. L’attacco alle Torri Gemelle di New York ebbe un impatto sull’immaginario proprio perché fu visto in televisione: raggiunse cioè tutti gli spettatori nelle loro case, invadendo uno spazio domestico. Al cinema non avrebbe mai funzionato, perché il cinema è il luogo deputato allo straordinario e, per quanto possa essere inquietante, un incubo cinematografico non può invadere mai lo spazio domestico. Può essere cioè orrorifico ma mai terroristico. Allo stesso modo non funzionò al cinema il primo film tratto da “X Files” (1998) e così non funziona questo secondo capitolo, arrivato fuori tempo massimo quando ormai oltre alla televisione sono cambiati la società e la tecnologia, e gli incubi peggiori dopo essere affiorati sono stati anche digeriti. Nessuno avrebbe sentito la mancanza di questo film incolore e insapore, una puntata di telefilm gonfiata fino a raggiungere la lunghezza dovuta. I personaggi che indagano sugli orrori dell’America ispirano ancora simpatia, perfino tenerezza, ma manca la freschezza degli esordi, la tensione di un vero thriller, il fascino di un mistero nuovo. Niente alieni e astronavi, la voglia di paranormale è affidata ad un ex sacerdote che potrebbe forse essere un emissario inconsapevole del Cielo, capace di svegliare nella scienziata più scettica (l’agente Dana Scully) l’interrogativo sull’esistenza di Dio. Le ambizioni sono alte, il risultato deludente, qua e là perfino noioso e prevedibile. Avrebbe funzionato sul piccolo schermo, certo, ma dieci anni fa. Infastidisce inoltre che in un film in cui si parla spesso della “voce di Dio” e della “parola di Dio”, i preti che vi compaiono appartengano esclusivamente a queste due categorie: se sono “buoni”, sono ex pedofili pentiti e scaricati dal Vaticano; oppure sono glaciali burocrati al servizio di Mammona. Anche questo è troppo superficiale.,Raffaele Chiarulli