Fiacco pesudo-remake di Independence Day, un film non privo di errori, cadute di stile e pecche di sceneggiatura. Eppure il più grande successo di Roland Emmerich, datato 1996, andrebbe forse un po' rivalutato come specchio di quei tempi. L'America indistruttibile e vincitrice della Guerra Fredda aveva allora un unico grande nemico da abbattere. E poteva soltanto provenire dallo spazio, perché sulla Terra ormai, scomparso il grande nemico comunista, vi era un unico giocatore. E faceva pure parte dei Buoni. A quindici anni di distanza da quel film innovativo e appariscente sotto il profilo degli effetti speciali, Jonathan Liebesman (Non aprite quella porta) ci riprova: stessa vicenda, su per giù; stessa definizione di massima dei personaggi; stesso ottimismo di fondo. Perché la vittoria americana arriverà, più che per le armi e l’equipaggiamento, per il loro eroismo e per lo spirito di sacrificio. La messinscena è fortemente realistica; le battaglie cruente e sanguinose sono simili per certi aspetti alla guerriglia urbana raccontata da Ridley Scott in Black Hawk Down. E anche la vicenda ricalca quella degli sfortunati Ranger impegnati in una missione rischiosissima in Somalia. Bisogna infatti evacuare e in fretta la zona assegnata della città e portare in salvo i civili prima che si scateni con un bombardamento a tappeto l'aviazione dei nostri. Liebesman non può prescindere dalla fantascienza classica di Alien e Predator e i mostri, che per esigenze economiche, sono solo intravisti o attraverso il filtro delle immagini (sgranatissime) televisive, o perché sono agili, imprendibili, formidabili guerrieri, assomigliano agli alieni con cui combattevano la Weaver o Schwarzenegger. Insomma: quel che è appare chiaro è che gli alieni si vedono poco e male e quello che si vede scontenta l'appassionato di effetti speciali, curati dai fratelli Strause, poi registi dell'analogo Skyline, ugualmente mediocre sotto il profilo tecnico. Si vedono invece bene, fin troppo, le gesta della squadra guidata dal sergente Michael Nantz, interpretato da uno spaesato Aaron Eckhart, il cui eroismo alla John Wayne soffre di un eccessivo schematismo. In questo senso Liebesman non si distacca molto dalla fantascienza muscolare e un po' stolida di tanto cinema americano. Troppi personaggi e vicissitudini sono già viste, e troppo rigide sono le caratterizzazioni dei personaggi: Eckhart è il sergente, carico di sensi di colpa che, sul punto di mollare l'esercito, si riscatta in una grande impresa; la Rodriguez – forse la più sprecata del cast – è impegnata in un ruolo d'azione non dissimile da quello ricoperto in Avatar. E ancora: un padre e un figlio eroici nella lotta contro le forze del male; una dottoressa (veterinaria!) alla ricerca del punto debole degli extraterrestri. Per non dire di una sceneggiatura (di Christopher Bertolini, già autore dello script per La figlia del generale) enfatica e zeppa di retorica militarista.,Tanti muscoli, ma poco cervello per un film che, anche sul piano del cast, male amalgamato, e dell'azione, assai ripetitiva, finisce per annoiare anche i patiti del genere nonostante un incipit tutt'altro che disprezzabile. E finisce pure per far rimpiangere i poco riusciti ma interessanti La guerra dei mondi di Spielberg, i film di Emmerich ma anche lo Starship Trooper di Paul Verhoeven, un altro film della seconda metà degli anni 90, muscolare, bellicista, con effetti speciali un po' così, ma con tanto cuore e tanta competenza dietro la macchina da presa. Qualità che in World Invasion: Battle Los Angeles si scorgono a malapena, un po' come quegli alieni che paiono tanto figurine digitali senza spessore.,Simone Fortunato,

World invasion: Battle Los Angeles
Quelle che sembrano grosse meteoriti sono in realtà sanguinari alieni pronti alla conquista della Terra. Ma l'America è attrezzata anche contro il più temibile degli assalti.