A tre anni di distanza dal primo film dedicato all’eroina più popolare della DC Comics, la regista Patty Jenkins torna con un sequel che vede ancora la splendida Gal Gadot nei panni di Diana Prince. Il film, girato nel 2018 e distribuito con grandi ritardi a causa della pandemia, debutta in Italia in formato digitale, mentre i cinema rimangono chiusi fino a data da destinarsi. Wonder Woman 1984 si apre con un flashback che ci riporta nell’isola di Themyscira, dove la piccola Diana si cimenta in una sfida atletica tra amazzoni. Alla fine della sequenza, dotata di una potenza visiva che uno schermo cinematografico avrebbe senz’altro reso con più efficacia, Antiope (Robin Wright) affida alla giovane Diana una lezione di vita: è inutile prendere scorciatoie, perché “nessun vero eroe è nato dalla menzogna”. La connessione con il resto del film verrà a galla – seppur confusamente – quando si tratterà di affrontare l’eterno conflitto tra realtà e illusione, verità e auto-inganno.

Trascorsi quasi 70 anni dal suo ingresso nel mondo umano, Diana è ormai una donna affermata che lavora per lo Smithsonian di Washington DC; bellissima e sola, vive nella nostalgia dell’amato Steve Trevor (Chris Pine). Ai suoi antipodi c’è l’impacciata collega Barbara Ann Minerva (Kristen Wiig), geologa e cripto-zoologa che sogna di eguagliare il fascino di Diana. Sullo sfondo – troppo sfumato e non sfruttato a sufficienza – gli ormai onnipresenti anni 80, che trovano il proprio emblema in Maxwell Lord, ambiguo uomo d’affari estrosamente interpretato da Pedro Pascal, che con le sue fantasie di onnipotenza e i biondi capelli cotonati rimanda a ben altri tycoon del mondo reale. Sono anni di sfrenato ottimismo in cui tutto sembra possibile, e grazie al ritrovamento di una misteriosa pietra (una lampada di Aladino in versione quarzo citrino) i sogni dei personaggi potrebbero davvero tramutarsi in realtà. Ma, per citare Oscar Wilde, due sono le tragedie nella vita: una è non ottenere ciò che si vuole, l’altra è ottenerlo.

Il film, che insiste a rimarcare un distacco dai più cupi L’uomo d’acciaio e Batman v Superman: Dawn of Justice (entrambi di Zack Snyder), conserva la leggerezza di toni propria del primo episodio, addentrandosi senza troppo impegno in tematiche complesse come la minacciosa deriva orwelliana della società dei consumi. Cade però in fase di scrittura, con uno sviluppo narrativo ingenuo e discontinuo che si stira in una durata troppo imponente (circa due ore e mezzo): inizialmente coesa, la trama va riempiendosi di espedienti sempre meno convincenti, come la spiegazione caotica del funzionamento della Pietra dei Sogni, o l’evoluzione un po’ stereotipata e a tratti forzata dei villain. Qualche tara anche sulla parte visiva, con effetti speciali sottotono (su tutti la CGI utilizzata per Cheetah) a fronte di un budget produttivo da capogiro.

Wonder Woman 1984 è un film che, nonostante le premesse, non riesce a trovare la propria strada e si presenta nel complesso come un’occasione mancata. Pur senza tradire del tutto la promessa di una semplice evasione senza pretese, il nuovo cinecomic DC resta intrappolato in una dimensione antiquata, maneggiando in modo sbrigativo i molti temi sollevati e non portando un vero e proprio valore aggiunto rispetto alla origin story del personaggio. Si salvano, senza però capovolgere le sorti del film, gli attori principali, con in testa Gal Gadot, che si conferma adatta a infondere la giusta combinazione di forza e fragilità all’amazzone più amata d’America, dopo l’iconica interpretazione di Lynda Carter negli anni 70. A questo proposito, tenete d’occhio il finale…

Maria Giulia Petrini