Nel 1998 il New York Times pubblicò un reportage a testimonianza di un lavoro di ricostruzione degli enormi carteggi redatti, lungo tutto il corso della sua vita, dalla poetessa Emily Dickinson. Attraverso l’uso di un sofisticato software si scoprì che le lettere erano state pesantemente rimaneggiate dopo la morte della scrittrice dalla sorella Lavinia e dalla sua prima editor Mabel Todd; lo scopo della falsificazione sarebbe stato quello di eliminare dagli innumerevoli fogli dei suoi scambi epistolari il nome di Susanne Gilbert, donna colta e raffinata, nonché cognata di Emily, con cui la poetessa ebbe una relazione pluridecennale.
Per la regista americana Madeleine Olnek questo amore segreto rappresenta lo spunto da cui partire per imbastire un racconto ironico e brillante su una delle più importanti figure letterarie del ‘900: nato come film d’ispirazione biografica, Wild Nights with Emily Dickinson riesce a scansare tutti i cliché tipici del genere grazie a una verve di scrittura mirata a decostruire la figura cupa e oscura della Dickinson tramandata fino ai giorni nostri. Niente più temperamento difficile, auto-reclusione e ostilità verso l’estraneo, dunque, ma una vivace volontà di assorbire la bellezza, il piacere e le opportunità che la vita – soprattutto quella amorosa – poteva offrire a un’intelligenza raffinata come quella della scrittrice.
La cupezza del suo dramma psichico e la sua ossessione per la morte vengono dunque declinate in chiave caustica e pungente, così come luminosa e investita di colori accessi appare la fotografia dell’intero film; a fare il paio a questo spirito gioioso che aleggia per tutta la durata della pellicola, il doppio filo temporale attorno cui si snoda la vicenda narrata: se da una parte, infatti, la voce narrante appartiene alla profittatrice e opportunista Mabel Todd, sempre intenta a raccontare falsità sulla poetessa per il proprio tornaconto, dall’altra le immagini propongono la realtà – ben meno drammatica, ben più spensierata – di quegli stessi episodi vissuti in prima persona dalla Dickinson; questo sfasamento tra narrazione e visione è probabilmente la trovata migliore del film, perché permette allo spettatore di godere di quel contrasto tra racconto in voice over e messa in scena che in più di un’occasione riesce a creare momenti di pura ilarità.
A fare da intermezzo tra un piano narrativo e l’altro, alcune scene evocative in cui la lettura delle poesie della donna fa la parte del leone, andando a solidificare lo statuto di una protagonista con un background forse non accuratissimo dal punto di vista storico, ma che di certo regge alla perfezione nel racconto cinematografico. Nulla da eccepire neanche sulle prove di Molly Shannon (Emily Dikinson) e Susan Ziegler (Susan Gilbert), perfettamente calate nella parte e capaci di interpretare in modo originale lo spirito ironico e spensierato dell’intera opera. Al netto di qualche lungaggine e di pochi, sporadici cali di ritmo, Wild Nights with Emily Dickinson si presenta insomma come una delle più piacevoli e originali commedie in costume viste quest’anno.
Maria Letizia Cilea
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