Favola per grandi e per i più piccoli, semplice, delicata ma con alcuni momenti cupi ma necessari. La storia è quella del celebre mostro di Loch Ness. Non una favola – ci ricorda il narratore, un vecchio uomo del luogo alle prese con due giovani turisti scettici -, nonostante la foto fasulla e nonostante che il drago da tempo non si faccia più vedere. Una storia vera che ha cambiato la vita a un ragazzino. Angus è il tipico ragazzino di certe fiabe del mondo anglosassone: di famiglia benestante, ma solo nel dolore discreto per la morte del padre durante la guerra, con una madre e una sorella che non lo capiscono (ma poi anche per loro, pian piano tutto cambierà). Angus è un ragazzino che aspetta che capiti qualcosa. E qualcosa in effetti capita: troverà un uovo, alleverà il cucciolo di drago che lo scambierà per la madre. Lo proteggerà dal potere – un po’ alla maniera con cui proteggevano E.T. i bambini di quel gran film – fino alla conclusione ricca di colpi di scena.
Il film di Russell, realizzato dalla stessa casa produttrice de Le cronache di Narnia, è un film che con discrezione sa raccontare il mondo dei ragazzi, non nascondendo le pieghe oscure che spesso può prendere il mondo (e in questo senso si capisce l’ambientazione gotica e la fotografia quasi incolore di buona parte del film); nemmeno censurando i temi forti come la guerra che incombe terribile su tutto il film, o la morte, presente in ogni inquadratura con la continua rievocazione del padre. Ma come già ne Le cronache di Narnia e nel recente Un ponte per Terabithia, in questo mondo fatto anche di male e di cose oscure c’è la possibilità di un bene più grande. L’amore gratuito per l’altro anche nei confronti di chi è diverso ed emarginato; l’importanza della famiglia; la scoperta che per amore nulla è impossibile e niente fa più troppa paura. Nemmeno le acque livide di un lago nelle cui profondità è conservato il cuore dell’amicizia e forse anche il segreto della vita.
Simone Fortunato