Tommy Conlon, in congedo dai Marines, torna dopo anni a trovare il padre, ex allenatore di lotta ed ex alcolizzato (che si è convertito al cristianesimo e nel tempo libero ascolta Moby Dick su audiolibro), forse per chiudere i conti con lui, forse perché ha bisogno di qualcosa. Suo fratello Brendan, insegnante di fisica in un liceo, non riesce a far bastare gli stipendi suo e di sua moglie per mantenere la famiglia, pagare il mutuo della casa e le cure ospedaliere di una figlia malata di cuore. Entrambi sono ex lottatori e accettano – inizialmente all’insaputa l’uno dell’altro – di rimettere i guantoni e di partecipare a un selettivo torneo di “arti marziali miste” ( Mixed Martial Arts) che mette in palio una montagna di soldi, vincendo i quali risolverebbero tutti i loro problemi. Per entrambi, è l’occasione di affrontarsi per la prima volta dopo una separazione durata anni. Quante botte prima di arrivare in finale. Chi la dura la vince.

Con un po’ più di coraggio, o forse con un bilanciamento migliore tra ambizioni autoriali e attenzione al botteghino, Warrior diretto dall’interessante Gavin O’Connor (Pride and Glory), scritto dal regista insieme a Cliff Dorfman ed Anthony Tampakis, poteva essere un capolavoro. Non lo è ma non vale la pena recriminare. Piuttosto, va preso per quello che ha di buono: una sceneggiatura solida e di grande impatto emotivo; dialoghi di alto livello; attenzione ai problemi della società americana contemporanea (la crisi economica, la ferita ancora aperta della guerra in Iraq); un investimento sui temi del perdono e della riconciliazione; l’idea che un figlio che rinnega suo padre potrebbe avere ancora bisogno di lui; la suggestione che se ieri Rocky doveva metterci tutto il film per guadagnare i titoli dei giornali, i lottatori proletari di oggi devono solo trovarsi davanti al videofonino al momento giusto e, tramite Youtube, i filmati delle loro scazzottate vengono visti fin negli accampamenti dei soldati Usa stanziati in Medio Oriente. Tanti temi, tante storie, affidati a tre attori maiuscoli (Joel Edgerton, Tom Hardy e il vecchio Nick Nolte, che sta invecchiando benissimo) e a uno stuolo di caratteristi dai volti noti e meno noti, che arricchiscono e danno sostanza e colore a una trama forse fin troppo ricca e che, nei momenti più melodrammatici, sembra strizzare l’occhio anche a certo cinema di Hong Kong. Se Warrior sembra all’inizio poter respirare nella scia di grandi predecessori (Million Dollar Baby, The Wrestler e The Fighter, ma anche il primo Rocky), poi abbandona il crepuscolarismo sociale e punta i riflettori sul mondo luccicante dello sport/spettacolo, muovendosi su binari più commerciali e prevedibili. Nonostante i difetti (troppa carne al fuoco, troppi colpi di scena, tono indeciso), un film comunque spettacolare e avvincente, che ha, da un punto di vista narrativo, un grande e astuto merito: ci fa appassionare alla vicenda di due personaggi e poi li fa scontrare tra di loro nel duello finale. L’impossibilità di decidere per chi fare il tifo fino all’ultimo istante è un’idea talmente geniale che vale da sola la visione del film. Meglio se con una lattina di birra in mano.

Raffaele Chiarulli