Vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino 2015, interpretato per la quasi totalità da attori non professionisti in dialetto maya sui luoghi in cui realmente vive la piccola comunità che si racconta, Vulcano non è però riducibile alla categoria del film “etnico”. L’abilità del regista, infatti, sta tutta nel rendere con potenza e poesia tradizioni e riti estremamente localizzati, ma far sentire al contempo l’universalità dei sentimenti e dei desideri che muovono i personaggi, rendendoli reali e vicini anche a uno spettatore europeo.
La storia della giovane Maria, preparata dalla madre a un matrimonio conveniente per la famiglia (il promesso, Ignacio, vedovo con figli, è un uomo potente in quella piccola realtà, per la sua posizione, ma ancora di più per il fatto di conoscere lo spagnolo e poter quindi comunicare con il mondo “al di là del vulcano”), sorprende per capacità di coinvolgimento. Maria, si lascia sedurre (o forse lei stessa seduce, in cambio della promessa di essere portata via) da un giovane lavorante che sogna di lasciare la piantagione di caffè dove viene biecamente sfruttato per andare negli Stati Uniti. Abbandonata e con un figlio in grembo, Maria affronta questa condizione con gli strumenti di una cultura arcaica che mescola spiritualità cristiana a elementi più antichi e ancestrali. Tra incantesimi per cacciare i serpenti, poteri misteriosi delle donne gravide, ma anche sopraffazioni e abusi figli di un capitalismo molto contemporaneo, la vicenda di Maria si snoda per certi versi spietata, ma senza un briciolo di cinismo.
Il volto della protagonista, che sembra uscito da uno di quei bassorilievi che i suoi antenati hanno lasciato scolpiti nel Centro America, parla di schiavitù antiche, ma anche di una antichissima capacità di resistere al destino. La semplicità del racconto, che segue passo passo lei e la sua famiglia con uno sguardo privo del compiacimento dell’estraneo, è frutto delle ore di ascolto che il regista Jayro Bustamante, originario dei medesimi luoghi, ha speso con i locali a farsi raccontare le loro storie. Questa consuetudine, percepibile nella familiarità e nel rispetto per il suo oggetto che la pellicola trasmette, è ciò che rende Vulcano un’esperienza di visione unica che, pur mostrando con chiarezza le condizioni di vita dei Maya, allontana il film da qualsiasi ipotesi di didascalica condanna di sistema. La problematicità della relazione con il mondo moderno, la piaga dei rapimenti di bambini che è una realtà drammatica in Guatemala, sono solo alcuni dei temi che il film racconta senza mai diventare astratto, ma sempre ridando la prospettiva e lo sguardo di Maria, la sua sofferenza e i suoi desideri che scopriamo essere non poi così lontani dai nostri…
Luisa Cotta Ramosino