Dopo la pessima prova de ‘La mala educacion’, Pedro Almodovar torna a parlare di donne e con le donne, e il risultato è un vento che irrompe e scuote, come quello che apre la prima inquadratura di ‘Volver’ (Tornare): in un cimitero della campagna del sud della Spagna, abbagliato dal sole e scosso dal vento, gruppi di donne puliscono le tombe, strofinano le lapidi, spazzano gli aghi di cipresso, mettono sassi nei vasi di fiori perché l’aria non li rovesci. Si salutano, parlano, come se fossero nel cortile di casa, in una splendida scena di familiarità e vita quotidiana, in cui la morte è cosa normale e degna di rispetto. Da subito la protagonista è Raimunda, venuta da Madrid con la sorella Sole e la figlia Paula per visitare la tomba della madre e l’anziana zia, che ancora vive al paese. Raimunda è interpretata da Penelope Cruz, in un ruolo in cui regista ha dichiaratamente voluto che risplendessero le somiglianze col fisico esuberante di Sophia Loren, il sorriso di Claudia Cardinale, ma soprattutto il carattere tenace e sanguigno di Anna Magnani. Nonostante modelli così impegnativi, ‘Volver’ è soprattutto Penelope Cruz, che interpreta Raimunda in una figura credibile e potente al tempo stesso, indipendente e consapevole della teatralità della vita, ma anche sensibile, insicura e facile alle lacrime, sempre davanti all’obiettivo della macchina da presa, continuamente tesa ad esplorarla dappertutto, dai tacchi alla punta dei capelli per valorizzarne la bellezza e la personalità. Molti sono i “marchi” stilistici di Almodovar presenti: la canzone cantata in solitario da Raimunda (un bellissimo tango che da il nome al film e nella realtà eseguito da una famosa cantante spagnola, Estrella Morente), i riferimenti all’ottusa crudeltà dei salotti televisivi, l'omaggio alla pellicola classica (in questo caso a “Bellissima” di Visconti), il cameo del fratello produttore, la stessa presenza di Carmen Maura, protagonista dei primi film del regista. Momenti che non sempre sono al servizio della storia ma comunque più che giustificabili. E la storia, sviluppata intorno ad un paio di grossi scheletri che escono dall'armadio della famiglia, è relativamente semplice; con cautela, ma non sempre con discrezione, ogni cosa va al suo posto molto presto, limitando colpi di scena che a volte hanno danneggiato i racconti di Almodovar. Molto del godimento del film deriva da tutti questi dialoghi al femminile, a volte malinconici, spesso allegri e comunque tutti ad alto volume. Quello che sorprendentemente non compare, conoscendo il regista spagnolo, è una storia d’amore (e nessun transessuale, ancora più sorprendentemente); a sostituirla una vicenda di sole donne, in una combinazione curiosa di pragmatismo e superstizione. L'aria soprannaturale, nuova per Almodovar, che pervade determinate scene è filtrata attraverso la psicologia del carattere; in una scena memorabile la sorella Sole, per sfuggire a quello che sembra essere il fantasma della madre, capita nel luogo della veglia dove ci sono tutti gli uomini della città, che sembrano altrettanti fantasmi. E questa purtroppo è la cosa più triste (perché voluta) del film: un mondo in cui gli uomini sono tutti o inutili o marci. ,Beppe Musicco

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