A undici anni da The Queen Stephen Frears torna ad occuparsi della Royal Household d’Inghilterra con Vittoria e Abdul, portando stavolta in scena la storia della controversa amicizia tra la regina Vittoria alla fine del suo regno e un suo attendente di origine indiana, Abdul Karim, selezionato per la sua bellezza per consegnare una moneta all’imperatrice indiana durante una delle tante cerimonie di cui è fulcro e protagonista. Istruito a dovere sui movimenti da compiere e ammonito sugli sguardi da evitare, Abdul osa però incrociare quello dell’annoiata regina, scatenando un interesse che presto si trasforma in un’amicizia dai tratti decisamente poco convenzionali.
Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2017, il film gioca sin dall’apertura su un’ironia sottile tipicamente british e sui contrasti tra il mondo ingessato e cerimonioso della corte inglese e quel mondo che la regina e Abdul si costruiscono, riservandosi il piacere della scoperta dell’altro, dello scambio delle rispettive culture e confidenze e causando lo scandalo e l’ira dei propri dipendenti a palazzo. Tali scontri reggono il ritmo di una buona parte del film, creando situazioni e dialoghi brillantissimi quanto divertenti, senza mai però scadere nel kitsch o nel macchiettistico e mantenendo un buona credibilità dei personaggi. Interessante il tentativo di dare profondità al personaggio della regina Vittoria, trasformata dalla semplicità di un rapporto sincero con un servitore che la valorizza proprio nel suo intelletto, portandola fuori dall’algidità degli ambienti di palazzo e restituendole la gioia della scoperta e della quotidianità. Il classico tema delle maschere sociali viene efficacemente declinato in tutte le sue sfaccettature, mostrando la vacuità di una costruzione artificiale basata su ritualità incomprensibili tanto alla regina quanto alla sua corte.
Tuttavia la leggerezza con cui alcuni interessanti spunti vengono disseminati nel corso della storia – vari i riferimenti al tema del colonialismo e dell’ingabbiamento nei ruoli imposti dalla società – non permette di approfondirne alcuno: perciò il personaggio di Mohammed, amico e compagno di Abdul e portatore di una forte drammaticità, tra la logica prevaricatrice degli inglesi e l’anima gentile e sottomessa degli indiani viene liquidato in modo un po’ frettoloso con espedienti narrativi che mirano a smascherare il volto colonialista occidentale, mostrandone i reali intenti. Nella seconda parte il film sembra così perdersi in un gioco di ironie acute che alla lunga stancano e sembrano farlo ripiegare su se stesso, verso un finale forse un po’ prevedibile, che ha comunque il merito di elevare il valore di un’amicizia sincera.
Come la regina Vittoria, innamorata solo della parte più patinata ed appariscente della cultura indiana, il film non pretende andare oltre la superficie degli spunti accennati, pur divertendo con leggerezza, sagacia e offrendoci l’ennesima incredibile interpretazione di Judi Dench. Il ruolo della regina si addice alla sua classe, essendo la grande attrice di derivazione teatrale ancora iconica vent’anni dopo la Vittoria del Mrs. Brown (in Italia uscì come La mia regina) di John Madden.
Letizia Cilea