Potrebbe essere una storia di uno scrittore umorista come Bruce Marshall o Chesterton: una regista quasi novantenne e un fotografo poco più che trent’enne che girano per Francia con un camioncino per imbrattare i muri degli edifici con fotografie giganti. Lei, Agnès Varda, classe 1928, è una delle più grandi donne registe della storia: icona della Nouvelle Vague con film come Cleo dalle 5 alle 7, amica di Jean-Luc Godard e Alain Resnais, moglie di Jacques Demy, Leone d’oro a Venezia nel 1983 e Oscar alla carriera nel 2018. Una leggenda, ma anche la superstite di un epoca finita. Lui, JR, classe 1983, è un giovane e famosissimo fotografo e street artist, ma anche regista (alcuni documentari sulle sue opere e un meraviglioso corto con Robert DeNiro, Ellis), noto per l’idea delle fotografie giganti incollate su edifici. Il duo improbabile Varda-JR è una delle migliori coppie comiche che si siano viste ultimamente sullo schermo: alcuni loro duetti sono indimenticabili e la loro collaborazione artistica diventa man mano un’amicizia che scalda il cuore.
Il film (candidato all’Oscar per il miglior documentario) si apre con una serie di quadretti comici dove i due protagonisti raccontano come “non si sono conosciuti”: in teoria Visages Villages dovrebbe essere un documentario, cinema verità, ma è mostruosamente libero di usare scene di fiction, narrazione per fotografie, cambi di scena folli, citazioni (Godard, Bunuel) e anche scene parecchio divertenti. È quasi un road movie o una commedia, intrattiene e diverte come pochi documentari (ma anche pochi film di fiction) sanno fare. La Varda arriva dalla Nuovelle Vague, e questo si vede nella libertà assoluta con cui i due artisti si permettono di giocare con il cinema, con la storia del cinema e con le regole del documentario, il tutto con un’ironia sconcertante.
L’ironia di questo film è però giocosa e ottimista. L’ironia è il veicolo di uno sguardo che è l’antidoto ad ogni tipo di cinismo. La cosa che colpisce di più di Visages Villages è proprio lo sguardo esercitato sulla realtà: uno sguardo di chi cerca e chi è pronto a farsi stupire da ogni persona che incontra sul cammino, da ogni luogo che incontra sul cammino. È anche un film sulla morte, perché Agnès Varda rimane una superstite: il marito è morto da tempo, come pure sono morti i suoi amici (o dimenticati come Godard); e la morte rimane un’ombra su di lei e il suo viaggio (il pellegrinaggio sulla tomba di Henri Cartier-Bresson su tutti). Ma è soprattutto un film sulla vita: rimane veramente stupefacente come questa donna di novant’anni, attraverso il rapporto con il giovane fotografo, sappia trovare uno sguardo di stupore e affetto per la realtà e per l’esistenza. La ricerca di volti e luoghi è una ricerca della vita, delle vite, della realtà e ci sono proprio tutti: dagli scaricatori di porto al campanaro, dagli operai agli allevatori; e poi bariste, postini, senzatetto, bambini, minatori, vecchi, persino delle capre. In tutto ciò c’è anche il cinema. E infatti anche un film sul cinema, come gioco sulla forma (le soggettive sfocate della Varda), come citazione e omaggio (i due protagonisti che corrono per il Louvre come in Bande à part rimarrà negli annali), ma anche, in un certo senso come qualcosa che non basta, nel finale con il negato Jean-Luc Godard.
È un gran film perché diverte ed emoziona, davvero imperdibile perché risveglia desiderio di vita e fame di reale.

Riccardo Copreni