Rosa e Clara, due donne che convivono e il cui rapporto sembra attraversato da tensioni, sono di passaggio a Palermo per il matrimonio di un amico. Rosa, palermitana, non ci torna da anni (c’è ancora la madre, che non vuole però andare a trovare) ed è insofferente alla città; Clara, più positiva, cerca di smorzare la sua rabbia. Le due si perdono tra le vie della città, finendo in una stradina che sembra un budello: Via Castellana Bandiera. In quel momento arriva un’altra macchina guidata da Samira, anziana donna albanese che vive insieme ai Calafiore, una famiglia siciliana (la figlia, morta, era sposata con un uomo rimasto vedovo e patriarca di una famiglia dai legami parentali estesi). Né Rosa né Samira, donna “antica” e testarda (e aizzata inizialmente dal volgare Calafiore), vogliono cedere il passo. Si guardano e si sfidano, e rinunciano a bere e a mangiare. Attorno a loro, il quartiere si scatena, tra chi cerca di pacificare, chi di prendere le parti, chi minaccia violenze e chi le mette in pratica (ci scappa un ferito in una rissa). E anche chi pensa di guadagnarci scommettendo su chi si arrenderà per prima…,Emma Dante, regista teatrale di fama europea, debutta alla regia cinematografica con un’opera tratta dal suo omonimo romanzo. Lo spunto di partenza è forte, e le scelte di regia e certe immagini forti fanno ben sperare: l’inizio con Samira al cimitero, sdraiata sulla tomba della giovane figlia circondata da cani randagi, è di grande impatto, come pure la scena subacquea. Poi l’apologo surreale prende un po’ la mano, e spesso si rischia di scivolare nel grottesco (e il direttore alla fotografia, Daniele Ciprì, rimanda non tanto ai suoi film con Maresco quanto alla sua recente opera in solitario È stato il figlio). Operazione che rischia di diventare un po’ razzista, quando si parla del Sud e della Sicilia: possibile che siano tutti brutti, sporchi e cattivi: l’autrice, per quanto abbia parlato di storia universale, sembra avere i conti in sospeso con la propria città. Avvince però lo sguardo, di sfida ma anche di complicità, tra le due donne che hanno più di una ferita nel cuore, mentre la storia omosessuale con la giovane interpretata da Alba Rohrwacher vorrebbe regalare tenerezza a una donna fin troppo dura. ,Il vero problema, però, è che la dilatazione di certe scene, e certe soluzioni che suonano troppo intellettualistiche rischiano di allontanare parte del pubblico da una storia interessante e con alcuni aspetti forti (gli attori fra cui la “muta” Samira/Elena Cotta che a Venezia ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, le due case dallo stesso numero civico, alcune battute fulminanti). Come nel finale, che pure ha una sua forza visiva, ma si risolve in una lunghissima, infinita sequenza sui titoli di cosa che temiamo pochi apprezzeranno al cinema, perché saranno per la maggior parte già all’uscita. Rischiando di perdere fra l’altro il significato metaforico del film, legata alle dimensioni della strada inizialmente strettissima .,Antonio Autieri,