A sei anni dal grande successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti arriva in concorso alla 78ma Mostra di Venezia (1-11 settembre) con l’atteso Freaks Out, opera a lunghissima gestazione – era in produzione dal 2017 – a causa di ritardi nelle riprese, inevitabili inciampi causati dalla pandemia e imponenti interventi di post-produzione.

Budget da capogiro e trama folle sono infatti i tratti dell’opera seconda del regista romano, che non abbandona l’allure frenetico che contraddistingue le sue storie e ci catapulta nella Roma del 1943: piena occupazione nazista, i tedeschi brulicano per le strade, povertà e miseria sono ovunque. Resiste il piccolo circo di Israel, anziano ebreo che ha dedicato la sua vita a individuare, reclutare e supportare i migliori artisti circensi in circolazione. Tra loro s’impone il carisma del quartetto composto da Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio (Pietro Castellitto), Mario (Giancarlo Martini) e Matilde (Aurora Giovinazzo), personaggi dotati di talenti sovrannaturali che tutte le sere si esibiscono per il loro pubblico; quando Israel viene catturato e il suo circo distrutto, i quattro si mettono alla ricerca del loro amico, provando a sopravvivere alle disavventure che la guerra gli pone davanti.

Film a impronta fantasy con decisi influssi pop, Freaks Out è innanzitutto una storia sulla diversità, sul dramma che tale diversità rappresenta per chi ne è portatore e sulla capacità che quella stessa diversità ha di rivoluzionare le sorti della Storia. I protagonisti sono infatti dichiaratamente freaks, “mostri” che vivono alla giornata e cercano di scamparsela come possono; mandando avanti la propria personale storia inciampano però negli avvenimenti provocati dalla Grande Storia, quella della dominazione tedesca in Italia, che diventa presto palcoscenico delle loro più assurde imprese. Ma se l’idea di affermare una sorta di rivalsa del diverso nel marasma di un contesto dittatoriale poteva avere del potenziale, caotico e decisamente fuori misura è il risultato ottenuto: privi di un background solido, i protagonisti avanzano in modo macchiettistico atterrando un nazista dopo l’altro, facendo affidamento sulla forza della loro amicizia e sul supporto di qualche alleato incontrato lungo la via. Eccessivamente lunghe e chiassose risultano poi le scene di guerra, che occupano quasi tutta la seconda parte del film e che, abusando degli effetti speciali, non fanno altro che stordire uno spettatore già provato dall’ora precedente di film. Tra uno scontro e l’altro Freaks Out giunge insomma al suo prevedibile happy ending senza particolari colpi di genio, lasciando forse soddisfatti – e un po’ tramortiti – li occhi del pubblico, ma senza mai davvero raggiungerne il cuore. (Letizia Cilea)

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Tra i più belli in assoluto visti in questa edizione, Ariaferma è forse il film che più di tutti avrebbe meritato di stare in gara, e invece si ritrova fuori concorso. Diretto da Leonardo Di Costanzo (L’intrusa, L’intervallo) e basato su ricerche condotte dall’autore in persona all’interno di svariate carceri italiane, il film racconta, per le parole del regista stesso, «non le condizioni di vita in carcere, ma l’assurdità del carcere stesso». Quello di Mortana è un carcere di provincia in via di chiusura. Tutti i detenuti sono stati trasferiti, le guardie sono felici di essere dismesse e altrove occupate, finché non arriva l’ordine dalla direttrice: 12 detenuti da un altro carcere dovranno attendere il trasferimento finale proprio a Mortana, il personale dovrà continuare a essere operativo ancora per qualche giorno e tenere a bada i dodici galeotti fino a nuovo ordine. Il capo ispettore, Gaetano Gargiulo, e un gruppo di guardie penitenziarie accolgono con insofferenza la notizia, ma l’arrivo dei nuovi ospiti avrà uno strano modo di rivoluzionare le dinamiche di potere tra carceriere e carcerato cui tutti noi eravamo abituati. «È difficile stare in carcere, eh!?», dice il camorrista Carmine Lagioia al capo ispettore durante un momento di pausa dai suoi doveri culinari.

In questa frase si sintetizza forse tutto l’equilibro e l’intelligenza del film di Di Costanzo, dove al di sopra dell’interesse per la vita carceraria troviamo l’interesse per la narrazione della condizione umana tout court, e di come queste due realtà spesso si sovrappongano. Dietro le sbarre o davanti che sia, in carcere ci siamo tutti, insomma. Ma se il detentore ha il coraggio di guardare il detenuto con occhi umani, ecco che lo spazio della cella diventa forse un po’ più libero, aperto a una convivialità eccezionale perché condivisa con tutti: la divisa smette di essere prevaricazione, la catena del detenuto cessa di giustificare la violenza, la linea di separazione tra i due si sfuoca. Così Toni Servillo e Silvio Orlando, rispettivi interpreti dell’uomo di legge e del criminale, possono stare nella stessa stanza, conversare sulla propria vita privata, addirittura mangiare lo stesso cibo e rispettarsi nei propri compiti.

Per rappresentare questo spazio di umanità senza svirgolare in pietismi o cliché ci vuole una sceneggiatura raffinata, che è quella scritta per il film, insieme a Di Costanzo, da Bruno Oliviero e Valeria Santella: frasi brevi e dense di significato, accompagnate dagli sguardi eloquenti degli attori protagonisti, uno più bravo dell’altro persino nei ruoli più marginali. Nessuna sbavatura, nessun acuto fuori tono, solo contenuti di spessore, grande mestiere e capacità di mettersi al servizio delle necessità del cuore umano. (Letizia Cilea)

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Nadia, una sedicenne chiusa e solitaria, subisce una violenza sessuale da un ragazzo conosciuto in un bar. Rimasta incinta, deve fare i conti con un figlio in arrivo che può cambiarle la vita.

Presentato in Orizzonti Extra, La ragazza ha volato di Wilma Labate è un ritratto intenso e non scontato di una ragazza messa a dura prova da quanto le accade e che da sola riesce a trovare la forza di andare avanti. Molto convincente la recitazione della giovane Alma Noce (Gli anni più belli) che rende benissimo il personaggio di una ragazza, un’adolescente, che si tiene dentro le paure, le emozioni e gli stati d’animo ma con una determinazione che neanche lei sa di possedere. Tutto il film è “trattenuto”; pochi dialoghi, appena accennate le dimostrazioni di sentimenti che legano Nadia alla sua famiglia che comunque riesce a starle vicino. Quanto al violentatore, interpretato da Luka Zunic (Non odiare), colpiscono lo spettatore la prepotenza, il linguaggio (anche le parole possono violentare) e la totale assenza di rimorso con cui abusa di Nadia.

(Aldo Artosin)

 

Nella foto grande: l’atteso “Freaks Out” di Gabriele Mainetti