L’edizione Venezia 77 della Mostra del Cinema (in programma al Lido dal 2 al 12 settembre) vede continuare le proiezioni a ritmo serrato. E di pari passo vanno anche le nostre recensioni, che a volte si accavallano e slittano al giorno dopo: seguite tutti i giorni le nostre segnalazioni!

Mandibules, nuova opera del regista franco-belga Quentin Dupieux (fuori concorso) è una commedia scanzonata e ai limiti del non sense, che come tutta la filmografia del regista esplora una comicità estrema, giocando sulla costruzione di situazioni surreali e avanzando per piccoli colpi di scena: Jean-Gab e Manu trovano accidentalmente una mosca gigante dentro un’auto rubata. Decidono quindi di sfruttare questa situazione assurda per guadagnare del denaro: addomesticheranno la mosca e la porteranno in giro a fare spettacoli. Un road movie in salsa demenziale, il Mandibules di Dupieux, che nel costruire una storia totalmente assurda riesce a modulare bene la chimica degli attori, le gag e i giochi linguistici cui la lingua francese bene si presta. I due protagonisti hanno comportamenti ai limiti della follia, e nel tentare di raggiungere i loro obiettivi si incrociano con un’umanità varia che mai riesce a capire la loro condizione. Ma loro la scampano con soluzioni rocambolesche e fughe dell’ultimo minuto, abbracciando l’arte dell’arrangiarsi come filosofia di vita e muovendo forse una critica al sistema alto borghese ormai incapace di uscire dal proprio guscio. Ma al di là di questo nucleo tematico e delle ottime interpretazioni dell’intero cast (tutto impegnato in personaggi-macchietta e parodici), resta da domandarsi se questo tono sia davvero ancora efficace per un cinema, come quello di Dupieux, che tutto sommato mai riesce a liberarsi della sua forma estrema per darci, pur in serenità e con ironia, dei contenuti di spessore. (Letizia Cilea)

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Seconda prova alla regia per Gia Coppola, nipote del ben noto Francis Ford, Mainstream (Fuori concorso) è un affresco drammaticissimo della generazione Instagram, incapace di vivere sé stessa e i propri rapporti al di fuori della dimensione digitale. Il cellulare è un prolungamento del braccio, le storie che si raccontano online sono le uniche che contano (anche quando sono false o deformate), col rischio però che le cose sfuggano di mano se lo spazio di Internet letteralmente determina le azioni compiute nella vita reale, plasmando e talvolta degradando la stessa personalità del soggetto: e così un Andrew Garfield spettacolare nei panni di un folle creativo – ma privo di cellulare – si trasforma in un folle creativo narcisista e senza più alcun controllo, messo alla conduzione di un programma di intrattenimento su YouTube a seguito di un successo repentino ottenuto con qualche video originale girato con gli amici. Compagna di sventure è la bella e timida Frankie (la stupenda Maya Hawke), ragazza ai margini della società che con qualche idea vincente riesce a costruire dal nulla un format da milioni di dollari. L’adrenalina è alle stelle, l’ebbrezza del successo spinge presto ad azioni crudeli, scatenate da un’ambizione che spesso fa perdere ai singoli le coordinate della loro umanità. Il ritmo della sceneggiatura è scoppiettante, e l’estetica filmica si giova di emoticon, gif e animazioni installate direttamente sulle immagini del film, dando bene l’idea di cosa voglia dire perdere il senso della distinzione tra realtà vere e narrazioni costruite per essere vendute ai followers. Il percorso dei protagonisti è formativo e tutto sommato non troppo originale, ma la sfumatura sociologica di cui il film in più punti si dota fa sì che l’opera intera abbia un più ampio respiro, confermando quello che parrebbe essere l’ennesimo talento della famiglia Coppola. (Letizia Cilea)

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Proiettate al festival anche due opere fuori concorso di Luca Guadagnino. Il suo corto Fiori, fiori, fiori!, girato con lo smartphone, racconta un viaggio nei luoghi della sua infanzia dopo la pandemia. Poco però viene trasmesso allo spettatore, tra dialoghi scorciati e odori impercettibili. Salvatore – Shoemaker of Dreams è invece il suo documentario dedicato all’affascinante figura di Salvatore Ferragamo: favola di un uomo partito da un paesino del Meridione e capace di trasformare la più umile delle professioni in un’impresa innovativa, riconosciuta a livello mondiale. Interessante la formazione americana del grande artigiano, sperimentatore instancabile e creatore di calzature per gli dèi di Hollywood. Il documentario però si presenta soprattutto come una promozione aziendale, anche se ad aggiungere movimento intervengono personalità come Martin Scorsese, Deborah Nadoolman, Manolo Blahnik e Christian Louboutin. (Roberta Breda)

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Documentario agiografico ai limiti del sopportabile, I am Greta ripercorre la storia della giovane attivista Greta Thunberg a partire dal 2018 fino ad arrivare al febbraio 2020, concludendosi con la traversata in barca a vela intrapresa dalla protagonista per partecipare alla conferenza di New York sull’ambiente. Le prime scene la ritraggono nel periodo in cui era poco più che una quindicenne svedese, dotata solo di un grande spirito d’iniziativa e di un cartello di protesta contro il cambiamento climatico. La crescita sua e del suo movimento vengono seguite attraverso immagini focalizzate tanto sulla vita quotidiana quanto su quella pubblica, che appaiono però edulcorate e costruite appositamente a scopo propagandistico. L’assenza di approfondimento o problematizzazione delle questioni scottanti portate a galla dalle sue iniziative costringerebbe dunque lo spettatore a parteggiare per il personaggio, se non fosse che l’intento celebrativo è talmente smaccato da infastidire chiunque abbia un interesse per il tema, o anche solo una passione per l’onestà intellettuale di cui ogni documentarista dovrebbe disporre. Il tutto appare dunque ricattatorio ai limiti dell’accettabile, dotandosi peraltro di un tale livello di costruzione delle inquadrature e delle situazioni ritratte da far domandare se ogni singola scena non sia stata ricreata appositamente con l’intento di essere ripresa. Il risultato è dunque un ritratto parziale tanto del personaggio quanto del tema in sé, che ha forse un unico effetto positivo: quello di spingere lo spettatore a trovare altri luoghi e altri metodi tramite i quali documentarsi. (Letizia Cilea)

 

Nella foto: Maya Hawke in Mainstream di Gia Coppola