Parte bene la Mostra di Venezia per il nostro cinema. Era da tempo che un bel film italiano (lo dirige Susanna Nicchiarelli) non inaugurava il concorso Orizzonti al festival, e ieri un bel film lo ha fatto, ottenendo subito grandi consensi. Si guarda Nico, 1988 e si rimane stupiti di quanto il cinema italiano possa diventare universale. Non solo per la storia che è, in sé, una storia sugli ultimi anni di Christa Päffgen, in arte Nico: la bella musa di Warhol, che ha firmato album per i Velvet Undeground, reinterpretato canzoni per il regista Philippe Garrel (con cui scrisse il film La cicatrice interiore ed ebbe una lunga relazione) che morì prima di compiere 50 anni, dopo una breve ma intensa carriera da solista. Ma anche perché Nico, 1988 è un profondo viaggio interiore di una donna, che sembra, dopo il successo, non avere più niente tra le mani. Solo qualche concerto in hotel fintamente di lusso e in posti frequentati da ristrette nicchie, di giovani fan tra Manchester, Praga e Anzio. Nico, 1988 è un viaggio che Christa (interpretata da Trine Dyrholm, grande attrice danese che nel 2016 ha vinto l’Orso d’oro per La comune) compie per ritrovare se stessa e sbarazzarsi di un passato doloroso, quello di una madre che non riesce ad essere madre e di una donna che non riesce ad essere veramente libera. Firmano gli adattamenti delle indimenticabili musiche originali, reinterpretate dalla stessa Trine Dyrholm, il gruppo italiano Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo.
Meno convincente la partenza del concorso ufficiale, con il nuovo film di Alexander Payne (Paradiso amaro) presentato alla serata inaugurale. Ridursi per vivere meglio e far vivere meglio il pianeta. Con spazzatura irrisoria, soldi che si moltiplicano, case lussuose. Nel suo lungo film d’apertura, Downsizing, ci regala una riflessione sincera su un nostro surreale futuro: ci potrà salvare l’invenzione norvegese che riesce a far diventare uomini e donne, animali e non, alti non più di 12 cm? Ci crede Matt Damon, fisioterapista del lavoro, che, insieme a sua moglie, è disposto a rinunciare ai suoi legami, amici e famiglia, pur di vivere senza la spada di Damocle del futuro e l’ansia ecologica di provocare danni al pianeta. Peccato che c’è qualcuno che se ne approfitta e usa la tecnologia avanzata per rimpicciolire dissidenti, per favorire l’immigrazione clandestina e anche per sfruttare i poveri che vivono nei quartieri emarginati, poco distanti dalle ricche case. In 139 minuti Downsizing ci mostra le nostre paure, le nostre meschinità (si ride anche grazie ai personaggi di Christoph Waltz e di Udo Kier) e le vie possibili di salvezza, anche se spesso nell’ultima parte il film diventa, con i suoi risvolti distopici, debole.
Infine, Paul Schrader, sceneggiatore di Martin Scorsese, torna alla regia a breve distanza dal deludente Cane mangia cane con First Reformed, in concorso al Festival di Venezia. Il grande scrittore disegna un personaggio mai visto nel cinema: un sacerdote protestante (Ethan Hawke) che non riesce ancora a superare la morte del figlio e che scrive un diario, meditando un’azione folle (evitiamo i nocivi spoiler del film). Ha molte domande e nessuna risposta lui che, un giorno, si ritrova a dover affrontare il suicidio di Michael, attivista e marito di Mary (Amanda Seyfried). A cosa serve allora pensare alla speranza se gli uomini sono fondamentalmente egoisti, sfruttano gli altri e il pianeta? Le atmosfere bergmaniane dominano First Reformed, ma non riescono a dare quella profondità che Schrader, mettendo a fuoco il malessere contemporaneo del mondo, vorrebbe costruire.
(Emanuela Genovese)