Parigi. Dopo decine di deludenti provini, il regista Thomas si rassegna a tornare a casa senza aver trovato l’attrice giusta per il suo adattamento teatrale del romanzo Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch. Un attimo prima di uscire dal teatro, però, irrompe in scena l’esagitata attrice Vanda – guarda un po’, omonima della protagonista della pièce – che si profonde in giustificazioni per il ritardo e insiste talmente tanto da riuscire a farsi provinare. Esausto e infastidito, Thomas è già pronto mentalmente a liquidarla dopo pochi istanti ma, non appena la donna sale sul palcoscenico e inizia a recitare le prime battute, la pièce sembra improvvisamente prendere vita. Folgorato dalla bravura dell’attrice, e dall’incredibile aderenza della sua recitazione allo spirito del personaggio scritto sulla carta, il regista si addentra con lei sempre più profondamente nelle pieghe del testo, fino a non distinguere più la realtà dalla sua rappresentazione.,È un elegante commedia noir, con sbocchi drammatici e inquietanti, questo film di Roman Polanski, che piacerà a chi aveva già notato nel precedente Carnage (ma anche ne La morte e la fanciulla, altra trappola claustrofobica giocata sui temi dello smascheramento e della vendetta), la maestria dell’autore nel trasporre sullo schermo sofisticati testi teatrali.Venere in pelliccia è un film per pochi, un congegno di alta precisione pensato per un pubblico di cinefili adulti (argomento del film sono le perversioni sessuali: c’è un’allusione praticamente in ogni battuta di dialogo), imparentato con l’altra opera di Polanski Luna di fiele, che con questo film condivide il tema dell’amore malato che conduce alla morte o alla follia. Solo due personaggi in scena, un uomo e una donna: di più non ne servono, un po’ per l’argomento trattato (il sesso, appunto), un po’ per la bravura degli interpreti, l’ottimo Mathieu Amalric (evidente alter ego di Polanski, capigliatura compresa; e in una scena, ricorda l’inquietante trasformazione del regista nel suo vecchio film L’inquilino del terzo piano) e l’ancora bella Emmanuelle Seigner (moglie e musa e del cineasta dai tempi di Frantic), che da soli bucano lo schermo. ,Venere in pelliccia è innanzitutto un film sul rapporto tra realtà e finzione: è l’adattamento cinematografico di un testo teatrale che parla dell’adattamento teatrale di un romanzo. Nel gioco di specchi e di rimandi – nonostante il contenuto pruriginoso potrebbe attrarre su di sé tutta l’attenzione – si parla soprattutto della responsabilità dell’artista nei confronti della sua opera e dei suoi lettori, in una modalità dalle forti connotazioni metatestuali (quanto c’è di autocritico e quanto di compiaciuto?) in cui anche la magia del cinema viene dissezionata alla ricerca di significati freudiani (sulla scena ci sono le scenografie di un improbabile musical tratto da Ombre rosse, in cui un gigantesco cactus diventa subito un simbolo fallico). ,Arte, vita ed eros, insomma, si miscelano in un gioco di seduzione (un duello impari in cui è sempre la donna a detenere il potere) che si trasforma in una trappola senza uscita in cui l’artista lascia docilmente cadere se stesso perché inestricabilmente legato alla sua opera e alle ossessioni che l’hanno generata. Qualche perplessità la desta, piuttosto, la sensazione di un qualche intento morale che rischia di diventare moralismo quando inchioda alle sue colpe l’uomo maschilista e sessista senza dargli la possibilità di resipiscenza: come se l’arte, una volta rivelato l’uomo a se stesso, lo condannasse e basta. ,Raffaele Chiarulli, ,