Film insolito, molto studiato a tavolino. E’ l’incrocio tra il polar di tradizione francese, il noir classico e il cinema d’azione e di eroismo made in Hong Kong. Johnnie To, una vecchia volpe del cinema orientale (sono suoi tanti bei titoli di quel cinema, dal recente Exiled indietro fino a The Mission o Breaking News), ha buon gioco nel restituire l’atmosfera del grande cinema malinconico in bianco e nero e utilizza il corpo ferito di Johnny Hallyday in questo senso, in un’operazione nostalgica che vorrebbe riportare in auge i grandi eroi perduti e perdenti, feriti dalla vita di tanto cinema classico americano e francese. L’omaggio al polar francese va in questa direzione, ben sintetizzato dal nome del protagonista – Costello – che rimanda al Frank Costello di Melville. D’altra parte quello di To è un cinema citazionista e spesso autoreferenziale: non a caso Vendicami è, a quanto pare, piaciuto molto a Quentin Tarantino. Perché, come un Tarantino d’Oriente meno geniale ma ugualmente dotato da un punto di vista tecnico, il regista di Hong Kong dissemina nel suo ultimo film decine di riferimenti a un cinema alto e basso, e trasversale quanto a genere di riferimento. Così, uno spettatore attento e cinefilo non potrà non cogliere i riferimenti continui a Sergio Leone, soprattutto nelle sparatorie, assai dilatate da un punto vista temporale, oltre a richiami ai film migliori di John Woo o alla malinconia cupa di alcuni titoli proprio di Jean-Pierre Melville. Qualche virtuosismo di troppo, ben bilanciato però da una bella scelta del casting con caratteristi di livello, non toglie gusto alla visione anche per uno spettatore profano di noir, polar e quant’altro. Vendicami è insomma un buon prodotto, piuttosto solido dal punto di vista narrativo, con alcune sequenze di gran cinema (come il depistamento con protagonista la donna nel finale).

Più di tutto, è un film carico di nostalgia dolente ben sintetizzata dalla malattia che affligge il protagonista: la perdita inesorabile della memoria, a tal punto che Hallyday a un certo punto fotografa con una polaroid i suoi compari per non “perderli” per sempre. Come se ormai, annota tristemente To, il cinema vero, quello classico, fosse ormai un ricordo sempre più lontano, imprigionato in vecchi fotogrammi di cui, giorno dopo giorno, perderemo il significato.

Simone Fortunato