Vallanzasca, boss della Comasina, rievoca in carcere i fatti che lo portarono a diventare un protagonista del crimine negli anni 70. Interpretato da un Kim Rossi Stuart come al solito molto bravo e mimetico (anche nell’adesione linguistica, perfino eccessiva, alla parlata milanese), il Vallanzasca raccontato da Michele Placido non si nasconde, non si giustifica, non cerca scuse: sa che poteva scegliere altre strade, ma lui scelse il crimine. Capobanda violento e umorale, ma anche a suo modo generoso e leale con i suoi amici/complici, il “bel Renè” (come fu soprannominato dai giornali, non innocenti nella costruzione del suo mito come il film fa intuire bene) vive a passo di corsa, tra rapine, donne, ricerca del lusso e degli abiti eleganti. Presto si scontra con il re della malavita Francis Turatello, ma saranno destinati a diventare amici in carcere. Perché Vallanzasca fa dentro e fuori dalle galere – dove i poliziotti, appena possono, lo pestano di brutto anche per vendicare i colleghi uccisi da lui o dalla banda – e così si rovina in fretta il rapporto con Consuelo, la donna che gli dà un figlio (che, cresciuto, non volle mai sapere di lui). Ma non si ferma mai la smania di rapine, di imprese, di pericoli, non sempre assecondato da compagni d’arme talvolta incapaci o infedeli.,Come per film analoghi, infinite polemiche hanno preceduto e accompagnato le prime proiezioni alla Mostra di Venezia 2010 del film di Placido. Che, sulla falsariga del suo precedente Romanzo criminale, impagina un film ad alto tasso spettacolare e con recitazione d’attori di grande livello: a un Rossi Stuart protagonista totale si accompagna un coro di figure minori, magari poco a fuoco (molto sacrificata in particolare Valeria Solarino, nel personaggio di Consuelo) ma rese al meglio da attori notevoli (su tutti Filippo Timi, umile nel limitarsi a un ruolo di spalla, nella parte dell’amico di infanzia diventato compagno fuori di testa). Il film, insomma, si fa seguire bene, non toglie il pedale dall’acceleratore per due ore ed è tra i film più riusciti dell’attore-regista, che ha nelle corde questo genere di pellicole. A differenza di Romanzo criminale, però, Vallanzasca – Gli angeli del male è un po’ carente nel disegnare il personaggio, troppo schiacciato sul mito costruito da se stesso, tanto da sembrare ambiguo se non accondiscendente verso il criminale; nonostante le accortezze esplicite del regista, non riesce in effetti a non farsi soggiogare da quel fascino. ,In realtà, per chi conosce i fatti, il film è abbastanza fedele e onesto, anche nel ricostruire il “personaggio”, davvero spaccone, spericolato, perfino a suo tempo ruffianamente “simpatico” (per chi non sapeva o non voleva vedere quello che era: un criminale e un assassino) tanto da affascinare migliaia di donne che gli scrivevano in prigione dichiarandosi pronte a sposarlo (e una la sposò davvero). Senza contare che il cinema ha spesso raccontato personaggi simili, tenendo conto dell’innegabile fascinazione che il Male può presentare. E che certe reazioni (tendenti ad affermare che certi film sono pericolosi di per sé e non si possono fare: si ricordi il caso de La prima linea, film piatto ma per niente agiografico sul terrorismo) sembrano nascere anche dalla paura di rappresentare la realtà.,Ma se in Romanzo criminale, distaccandosi in parte da come erano davvero i feroci componenti della Banda della Magliana, Placido aveva potuto – anche sulla scorta del romanzo di De Cataldo – “inventare” un mondo, un’amicizia forse più epica di quanto in realtà fosse, trasferendosi dalla cronaca al terreno della finzione propria del (grande) cinema, stavolta paradossalmente è proprio l’adesione ai fatti (anche i più paradossali e incredibili, come il sopralluogo al caveau sotto travestimento) a lasciare un pizzico di insoddisfazione. Ci rimane più l’autoritratto compiaciuto di Vallanzasca (che di sé dice: “Io non sono cattivo, ho soltanto il lato oscuro un po' pronunciato…”) che il rischio dell’interpretazione dell’artista che sceglie di raccontarlo. Come invece avveniva in pieno in un altro film recente, che Placido ha senz’altro tenuto presente e con cui Vallanzasca ha molto in comune: il francese Nemico pubblico n.1 sul gangster Jacques Mesrine. Qui c’è l’azione, la cronaca ma manca – oltre a una Milano che rimane troppo sullo sfondo – la tragedia, il dolore, perfino la grandezza criminale (Vallanzasca è più sfrontato che sinistro). Fermandosi alla realizzazione di un buon film (a tratti ottimo), che merita di essere visto per le sue qualità cinematografiche. Ma senza arrivare al cuore del “mistero” di un uomo che, oltre tutto, ha insanguinato le nostre strade non troppo tempo fa. Vedere un film simile sapendo che ci sono ancora mogli, figli, genitori chi piangono per i suoi omicidi ha un altro impatto rispetto ad azioni più lontane nel tempo, o avvenute in contesti diversi dai nostri: certe ferite sono ancora aperte, impossibile non tenerne conto.,E la chiusura a effetto, pur fedele alla cronaca (sulle modalità del suo arresto definitivo), rischia di consegnare allo spettatore una definitiva, quanto non voluta, esaltazione del personaggio.,Antonio Autieri

Vallanzasca – Gli angeli del male
Le gesta criminali di Renato Vallanzasca, nella Milano degli anni 70.