Prodotto dalla francese Europacorp, fondata da Luc Besson, e diretto dal Barry Sonnenfeld dei due La famiglia Addams e dei tre Men In Black (nonché direttore della fotografia dei primi film dei Coen), questo piccolo film ripesca il fortunato archetipo fantasy in cui un uomo apparentemente irredimibile, abbarbicato ai suoi vizi e ai suoi difetti, precipita in una situazione paradossale che gli fa guardare la realtà con occhi diversi, espiare le sue colpe e cambiare vita.
Tom Brand (Kevin Spacey) è un magnate newyorkese talmente egocentrico da mettere perfino il bene della sua azienda dietro alle sue ossessioni personali (l’ultima impresa fine a se stessa riguarda la costruzione del grattacielo più alto dell’emisfero boreale). A farne le spese, naturalmente, è soprattutto la sua famiglia, formata dal figlio di primo letto David (che lavora come suo assistente nella corporation), la seconda moglie Lara (Jennifer Garner) e la figlioletta Rebecca. Quando quest’ultima compie undici anni, Tom accetta di comprarle come regalo di compleanno – più che altro per mancanza di altre idee – quello che la ragazzina ha espressamente chiesto: un gatto. Finisce quindi in uno strano negozio di animali, dove il proprietario – il bizzarro Felix Perkins (Christopher Walken) – gli vende il pelosissimo Mr. Fuzzypants, con cui Tom, che odia i felini, se ne torna verso casa. Costretto a una deviazione dall’ennesimo contrattempo lavorativo, Tom rimane vittima di un terribile incidente che lo manda in ospedale, in coma profondo, e lo fa reincarnare nel gatto.
La storia, stranamente, non è ambientata durante le feste di Natale, il contesto narrativo perfetto per far accettare anche allo spettatore più smaliziato quel tocco di magia in più, non altrimenti credibile. I precedenti illustri sono innumerevoli, dal letterario Canto di Natale di Dickens (portato al cinema in tante versioni) a un film sottovalutato come The Family Man con Nicolas Cage, passando dal fondamentale La vita è meravigliosa di Frank Capra e da tanti film di Walt Disney con protagonisti quadrupedi; e non è certo l’originalità che si chiede a un prodotto di questo tipo.
Nonostante la strada spianata, però, il film s’incaglia proprio dove dovrebbe filare: leggermente più volgare e ammiccante dei classici film per ragazzi (il grattacielo come simbolo fallico, le battute sul botulino…), ha una premessa del tutto incomprensibile per gli spettatori più giovani, con i suoi dialoghi velocissimi in cui si parla di vendita di azioni, fusioni miliardarie e consigli di amministrazione. Gli addetti al casting, poi, hanno pensato che a incarnare il protagonista – per cui fare il tifo nonostante la profusione di cinismo, in un ruolo che vent’anni prima sarebbe stato di Bill Murray – andasse bene l’imbolsito Kevin Spacey (scelta viziata senz’altro dalla performance dell’attore nella serie House of Cards). Neanche è chiaro perché la decisione di staccare la spina all’uomo in coma, sostenuta all’inizio solo dal cattivo del film (il numero 2 dell’azienda che vuole fare le scarpe a Tom), dopo pochissimi giorni venga condivisa anche dalla moglie che pensa, in lacrime, di fare così “il bene della figlia” (?): come generatore del conto alla rovescia entro il quale Tom è chiamato a completare il suo arco di trasformazione, si tratta decisamente di una forzatura.
In fin dei conti un film abbastanza scialbo, in cui gli ammiccamenti per gli adulti hanno la meglio sul divertimento per i più piccoli e dove si salvano solo: 1) il tema (“l’amore è sacrificio”, sbandierato in quella che gli esperti chiamano scena di exposition, cioè spiattellato senza una costruzione drammatica); 2) cinque minuti divertenti con i tentativi di Tom, appena diventato gatto, di gestire la situazione negli inediti “panni”; 3) un Christopher Walken deliziosamente perfido nelle vesti del mago, o forse dell’angelo, responsabile del complotto felino. Troppo poco per meritare la sufficienza.
Raffaele Chiarulli