L’inizio con voce fuori campo è sempre un po’ sospetto e rischioso: in un non nominato paesino del Sud il protagonista-regista, Rocco Papaleo, ci racconta in pochi secondi l’assunto di partenza con molte parole: sacerdote “tifoso” di Gesù fin da bambino, si è appena “spretato” per amore di una donna; che però, appena lui ha tolto la veste, se n’è andata. L’anziana madre la prende malissimo, più per paura dello scandalo che per vera fede. Lui, per non far sapere ad altri la verità in paese, si trasferisce nel vecchio e abbandonato faro di proprietà di famiglia, fatiscente ma dominante un mare da sogno. Lì vanno a trovarlo varie persone, per il sacramento della confessione (e lui, dopo aver tentato di negarsi, per non dire la verità continua a “fare il prete”), per fuggire da qualche problema o per altre urgenze della vita. Un po’ alla volta tante persone si trasferiscono a lui – che vorrebbe stare da solo – contribuendo a ristrutturare il faro e un’annessa casupola (ex laboratorio): il cognato “cornuto”, abbandonato dalla sorella del prete per un misterioso amante, un’ex prostituta slovacca “in pensione” ancorché molto giovane e bella, la madre che vuole evitare le voci sulla famiglia, e poi a poca distanza anche la moglie e l’amante. Che poi in realtà è una donna, l’ex badante della madre nonché sorella della prostituta… E quindi i possibili scandali di famiglia sono addirittura due. Ma poi arrivano a popolare la comunità anche due uomini di un’impresa edile per ristrutturare la casa-faro, la figlia di uno dei due con l’altro che invece ha la vocazione dello stuntman… Mentre la morte del padre del cognato porta l’ex prete a una scelta difficile: fare il funerale o dire a tutti che non è più un sacerdote?,Troppa carne al fuoco, come si vede da questa parzialissima sintesi, che forse svela troppo ma che dà l’idea di un confuso caravanserraglio umano e narrativo. Perché poi ci sono i rapporti tra cognato musicista e l’anziano e moribondo padre, le aspirazioni artistiche intellettuali del cognato stesso a confronto con la popolarità delle sue prime canzoni che lui tende a disprezzare, l’impresa collettiva del “gruppo del faro” di far passare alla ragazzina l’esame di quinta elementare (doppia incongruenza: quell’esame non esiste più da tempo, e nella scuola dell’obbligo è impossibile accettare che a una bambina si faccia lezioni a casa, da “privatista”), la stramba comunità che si scopre un’anomala famiglia allargata, la costruzione malandata che dopo accurata e appassionata ristrutturazione diventa un albergo sul mare affascinante e accogliente… Con evidente metafora di una ristrutturazione umana di tutti i personaggi, che imparano a reinventarsi una nuova vita.,Su tutto, domina il fastidio per un impianto filmico che parte come una commedia arguta, con alcune annotazioni sociali (anche se abbastanza banali: il solito meridione retrogrado, i bambini che inseguono il cognato chiamandolo “cornuto”) e qualche carattere e battuta azzeccati, e finisce in vari imbuti. Dalla “poesia” insistita di certe immagini (il funerale cantato, la sequenza onirica del trasporto del morto che fuma sorridente, le foto degli amanti che dormono, la barca a vela nel finale) alla chiusa da pamphlet ideologico sull’accettazione delle diversità. Con tanto di scena da matrimonio “alternativo”, e oltre tutto in cui si esclude a priori che ci sia un “per sempre”, e scontata figura di prete ottuso e scandalizzato, tanto per sottolineare didascalicamente buoni e cattivi di una società “giusta”. Peccato: da Rocco Papaleo, ottimo caratterista di tante commedie e regista interessante nel suo esordio Basilicata Coast to Coast (che tra alcuni limiti riusciva a far passare un’idea poetica di racconto), ci aspettavamo un secondo film meno banale. Si salvano solo le qualità tecniche (ottima le musiche jazz e la fotografia, grazie anche a scenari da sogno di una Sardegna camuffata da altre regioni: l’inflessione generale è lucano/pugliese) e le prove degli attori, nel complesso bravi (soprattutto Papaleo stesso, che è davvero una risorsa importante come attore, Giuliana Lojodice, Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova che però sembra il personaggio di Scialla!, ma meno originale). Ma è una magra consolazione a fronte di un’operazione complessivamente deludente nella sua banalità di racconto di un’umanità orgogliosa della sua confusione e fragilità.,Antonio Autieri