Di notte leoni, di giorno….. È il motto che rende bene l’idea e lo stile di Una notte da leoni, commedia ad alto tasso alcolico sullo sballo per lo sballo. Nulla di strano, per carità, giusto un po’ squallido. Quattro amici a Las Vegas a sballarsi a furia di droga, sesso e alcool. Si risvegliano dopo la notte del titolo senza ricordarsi nulla e si ritrovano in una camera d’albergo sfasciata, con un neonato da accudire e una tigre nel bagno. Soprattutto, si ritrovano in tre perché il festeggiato e prossimo sposo è clamorosamente scomparso. Di qui una serie di disavventure al di là spesso del cattivo gusto. Ecco: il punto è proprio questo. Il cattivo, o come in questo caso, il pessimo gusto. Che Todd Philips, già autore della non memorabile versione cinematografica di Starsky & Hutch, guardi a un certo tipo di comicità greve, tipo i film dei fratelli Farrelly o saghe di gusto non proprio sopraffino come American Pie è un dato di fatto. La comicità è di grana grossissima, le gag fisiche, quelle che una volta giocavano coi peti e coi rutti ora parlano il linguaggio della modernità: il preservativo usato da lanciarsi l’un l’altro o i conati da ubriaco. Ma quello che poteva essere un filone demenziale che giocava pesantemente la carta del politicamente scorretto rimanendo sul crinale del cattivo gusto (Tutti pazzi per Mary, Fratelli per la pelle) ora è diventata pura maniera fine a se stessa, zeppa di volgarità gratuita ed esagerata. Certo, il cast funziona (soprattutto, Zach Galifianakis, caratterista di lungo corso e a tratti davvero incontenibile) ma per fare un film credibile occorre forse fare uno sforzo in più che quello di mettere in fila una serie di gag o accumulare personaggi e situazioni che poi vengono accantonate senza problemi: la tigre, il bimbo, Mike Tyson, la polizia, lo spacciatore, il boss giapponese, la spogliarellista sono mere situazioni slegate tra loro che strappano la risata ma non possiedono alcun significato e non rimandano a nulla se non al delirio di una notte che alcuni ragazzi hanno passato da incoscienti. Basta questo per far ridere ? Evidentemente sì. In America si sono precipitati in tanti a vedere le bravate di un gruppo di ragazzi sotto l’effetto della droga. Del resto, si può ridere tra amici di un po’ di tutti. Di una battuta più o meno volgare, di una gaffe, di un ubriaco che non riesce a stare nemmeno in piedi, di un handicappato incapace di mettere in fila un pensiero coerente. Siamo nella parte libera del mondo e si può ridere fortunatamente di tutto e di più. Ma c’è risata e risata: e quelle che suscita Philips e i suoi cattivi ragazzi saranno pure grosse ma anche decisamente squallide.,Simone Fortunato