Nora  ha  presenziato  al  processo  di  Jacques Viguier, accusato dell’omicidio di sua moglie Suzanne (il cui cadavere, però, non è mai stato trovato), ed è tuttora convinta della sua innocenza.  Temendo  un  errore  giudiziario, convince un principe del foro, il ruvido avvocato Dupond-Moretti, ad assumere la sua difesa nel processo d’appello. Mentre il cappio si stringe attorno all’imputato, la ricerca della verità di Nora si trasforma in un’ossessione…

Per il suo primo lungometraggio, Antoine Raimbault sceglie di portare sul grande schermo uno dei casi giudiziari che ha scosso la Francia nel 2010; quello di Jacques Viguier, professore di diritto e appassionato di cinema, accusato di aver compiuto il delitto perfetto nel 2000, uccidendo la moglie che lo tradiva. Dopo essere stato assolto sostanzialmente per mancanza di prove, venne citato in appello dall’accusa: il film tratta proprio del processo finale cui Viguier venne sottoposto. Da tenere presente che il caso fu piuttosto complicato anche perché il corpo di Suzanne non venne mai ritrovato tanto è vero che si sospettò anche una fuga della donna.

Le arringhe, gli interrogatori, i protagonisti e le intercettazioni che sentiamo sono quanto emerse direttamente durante le udienze ma Raimbault aggiunge un importante elemento di finzione: il personaggio di Nora (una bravissima Marina Foïs, vista recentemente ne Gli infedeli), una giurata del primo processo, talmente certa (è sua l’intima convinzione del titolo) dell’innocenza di Viguier da prodigarsi per fare in modo che il celebre avvocato Dupont-Moretti ne prenda le difese. Quella di Nora, da battaglia nobile diventa una vera ossessione malsana che il film descrive molto bene; la donna sembra accecata dall’odio verso l’amante di Suzanne che per lei è il vero colpevole. Perde il lavoro per seguire il processo e aiutare l’avvocato con le intercettazioni, tanto da trascurare anche il figlio.

Le fa da contraltare l’avvocato Dupont-Moretti (impersonato in modo impeccabile da Olivier Gourmet) che ha come unico obiettivo quello di far confermare anche in appello la sentenza di assoluzione del primo processo. Non è un’impresa facile perché, pur giudicato innocente, Viguier per l’opinione pubblica è assolutamente colpevole e la sua posizione non è proprio priva di ombre. Momenti clou del film sono l’interrogatorio alla baby sitter dei figli di Jacques e Suzanne e l’arringa finale in cui l’avvocato parla dell’“intima convinzione” che deve guidare i giurati prima di una sentenza: si può anche condannare una persona pur senza questa intima convinzione; si emette un giudizio, sottolinea l’avvocato, ma non si fa giustizia. Il film non dà risposte certe, lascia aperte tutte le domande come accaduto nella realtà; però fa capire quanto sia difficile fare giustizia e come sia facile per l’opinione pubblica prendere posizione senza, tuttavia, avere elementi certi in mano. Una intima convinzione è un film intenso, incalzante, senza pause dove ai due eccellenti protagonisti si aggiungono anche i personaggi di Jacques Viguier (Laurent Lucas) e soprattutto quello di Olivier Durandet (Philippe Uchan), l’amante della donna, uomo ambiguo e manipolatore animato da un unico desiderio: vedere Viguier dietro le sbarre. Nessuno dei protagonisti esce propriamente senza macchia dal processo; non Jacques, non Olivier, e neanche la polizia le cui indagini non sono state proprio limpide. Quello di Raimbault è un bel legal movie da non perdere, nei cinema e nelle arene, in queste settimane di calura dell’estate 2020.

Aldo Artosin