Quattro musicisti, un quartetto affiatato. Insieme da 25 anni e da 3000 concerti, uniti da comune impegno per l’arte e la bellezza e da affetto discreto ma sincero. Poi, all’improvviso, il più anziano – un tempo loro maestro, convinto da un giovane allievo a unirsi nell’impresa di formare un quartetto con tre “ragazzi” – che già si era fermato dopo la morte dell’amatissima moglie, perde colpi, per i primi segnali di una malattia che fa capolino. Il verdetto è durissimo: è il Parkinson. Non solo temuto per l’incombente declino e osservato quasi con disprezzo in altri malati (nelle sedute collettive con un medico), ma anche evidente ostacolo all’uso del violoncello. Per Peter è tanto doloroso quanto inevitabile abbandonare le scene e il quartetto, pensando però a come non disperdere il lungo lavoro comune: e quindi individua una più giovane sostituta; cerca di convincere il primo violino, il metodico e rigorosissimo Daniel, e i due coniugi Robert (secondo violino un po’ frustrato) e Juliette che la soluzione è la migliore; e intanto chiede ai tre che, se ce la farà, possa dare un ultimo concerto di addio. Ma il suo passo indietro, e la sospensione delle prove ricorrenti e serrate, scatena un domino di reazioni negli altri, rompendo quell’equilibrio che si era creato nel tempo. Robert vuole avere un ruolo maggiore, la moglie non lo sostiene, Daniel – che ha amato lei in passato – si irrigidisce nel suo “predominio” gerarchico e per giunta si innamora della figlia, violinista talentuosa e irrequieta, dei due colleghi. Il cui matrimonio va in crisi… ,Una fragile armonia è un dramma antico (spira un’aria da buon cinema di una volta, sottolineata da una meravigliosa fotografia dai colori smorzati che induce alla malinconia) e contemporaneo a un tempo, che mescola il fascino per un “gioco” musicale sottile e appunto fragilissimo tanto amato dagli appassionati quanto sconosciuto ai non intenditori – che ritmo, che maestria e che precisione nel darsi i tempi durante le esibizioni – che può sembrare elitario ma risulta invece semplicemente affascinante. Ma la bellezza di quel che fanno da una vita i quattro musicisti (interpretati da attori strepitosi: dal gigantesco “veterano” Christopher Walken al solito bravissimo Philip Seymour Hoffmann , dall’intensa Catherine Keener al sorprendente Mark Ivanir che si fece apprezzare nel film Il responsabile delle risorse umane) e della musica che generano si scontra con le debolezze, i tradimenti, le incomprensioni, i rancori. Tutto va in pezzi. Ma tutto può anche ricostruirsi, solo se l’orgoglio fosse messo da parte. O se il sacrificio di qualcuno facesse risplendere quell’armonia fragile, impossibile e miracolosa.,Antonio Autieri,