La brutta traduzione italiana di un titolo francese molto più efficace (La lotta di classe) si riferisce alla storia della famiglia del piccolo Corentin, biondo figlio di Paul (Edouard Baer nel ruolo di un batterista ex punk) e di Sofie (Leïla Bekhti), un’avvocata di origini magrebine, che dal centro della città si sposta in una villetta della banlieue, iscrivendo il figlio alla “Jean Jaurés”, la locale scuola statale frequentata in maggioranza da bambini figli di immigrati. Il problema è che poco a poco i genitori dei vecchi compagni di Corentin cominciano a levare i figli per iscriverli in altri istituti, a causa del disagio dei bambini di origine francese ad essere in minoranza rispetto alla maggioranza di origine africana o araba.
I genitori, strenui difensori del libero pensiero e della laicité, cercano in ogni modo l’integrazione, ma devono fare i conti con l’osservanza religiosa islamica della maggioranza degli adulti e dei bambini della classe, che emarginano e mettono in difficoltà il povero Corentin, che (nonostante le origine arabe della madre) è anche di pelle chiara.
Il film di Michel Leclerc cerca di scherzare su situazioni che negli ultimi tempi si sono invece risolte tragicamente (come nel caso dell’insegnante decapitato perché aveva mostrato le vignette sul Profeta), facendo appello alla spontaneità dei bambini, che risolverebbe tutte le situazioni più difficili. Si sorride di fronte a certe situazioni, come durante il colloquio col preside di una scuola cattolica dove i genitori sarebbero disposti a trasferire il figlio, che scopre su YouTube vecchi video della band di Paul che canta versi osceni e blasfemi, o il tentativo di iscrivere Corentin in un’altra scuola statale meno problematica in un altro quartiere, millantando di abitare in zona (e venendo scoperti e svergognati).
Quel che comunque salta all’occhio è che il piccolo cerca disperatamente un’identità, in una classe dove tutti hanno una forte appartenenza, mentre i suoi non solo non credono in niente, ma non sono neanche sposati, e come questo non si possa nascondere davanti a chi ha idee inscalfibili al proposito: quando Sofia parla con la madre di un compagno chiedendole per favore di impedire al figlio di dire continuamente che lui e i suoi genitori andranno all’inferno, si sente rispondere che certo lo farà, ma che comunque quella è la verità e non ci può fare niente.
Il film affida ai bambini il compito di superare con l’amicizia le differenze, e il regista sembra sinceramente convinto che questa sia la soluzione. Al di là delle buone intenzioni e della simpatia che suscitano i protagonisti, la realtà, purtroppo, sembra molto più complicata.
Beppe Musicco