Accantonata la sceneggiatura in solitaria o la collaborazione con lo sceneggiatore Gianni Romoli, Ferzan Ozpetek sceglie di adattare per il grande schermo l’omonimo romanzo della scrittrice Melania Mazzucco: un giorno nella vita di una coppia, destinato a finire tragicamente. Da subito il film si contraddistingue per i troni da melodramma, che il regista ha dimostrato sempre di apprezzare e valorizzare, anche se in maniera meno colorita e vitalistica di Pedro Almodovar, cui da molti è stato accostato. Il film si apre con una lunga sequenza, un flashback in soggettiva, su una casa dove dorme una famiglia, indugiando sui particolari: i quadri, le luci, le sagome di chi è disteso nel letto. Ma al cambiar della scena si passa all’oggi e alla tragedia, con la scoperta in quella stessa casa di una vera e propria strage. Ozpetek calca volutamente sui personaggi: Valerio Mastandrea fa pesare i suoi silenzi tanto quanto i dialoghi o le scene d’ira; Isabella Ferrari, la moglie che lo ha abbandonato portandosi dietro i figli, è una donna che dovrebbe essere involgarita da un trucco volutamente pesante, da vestiti che la strizzano per evidenziarne le forme, dall’aspetto popolaresco. La storia è incentrata sul disperato tentativo dell’uomo, poliziotto a capo della scorta di un politico, di ricongiungere la famiglia attraverso richieste, suppliche, piccoli ricatti ai figli e anche violenze sull’ex moglie. A fare da contorno, altre vicende: il politico cerca di ingraziarsi il capo del suo partito (che a giudicare dai manifesti elettorali è Berlusconi) per essere eletto ed evitare un processo che lo rovinerebbe. L’uomo è vedovo e ha un figlio che disapprova la relazione del padre con una ragazza giovane, e di cui anche il figlio si innamora. Ma il politico ha anche una bambina piccola che ha una predilezione per il suo compagno di classe che è anche figlio del poliziotto. In più, la moglie del poliziotto passa parte della giornata con l’insegnante (un’algida Monica Guerritore) della figlia, mentre il figlio del politico incontra casualmente una sconosciuta (Angela Finocchiaro) che lo vede ritrarre in un quadro l’ospedale dove la madre si è suicidata e che si scoprirà poi essere… Insomma, per quantità di personaggi e sub-plot, “Un giorno perfetto” assomiglia a un feuilleton di fine ottocento, dove è presente tutto il campionario del sentimento e delle emozioni: amore, odio, furore, violenza, affetto, premonizioni, destini incrociati. Ma mentre le puntate dei feuilleton potevano durare per lungo tempo (come le soap opera contemporanee), nei 105 minuti del film Ozpetek cerca di farci stare di tutto e di più, col risultato che, tolti i due protagonisti, i personaggi sono appena sgrossati; per giustificarne altri si usano dialoghi inverosimili o eccessivamente didascalici (vedi la giovane amante del politico o il personaggio della Finocchiaro); inoltre, molte ambientazioni o situazioni narrative sollevano forti dubbi (in primis il comportamento della moglie, che pur non fidandosi dell’ex marito accetta un passaggio in auto che sarà l’inizio della tragedia). E per di più il film usa una colonna sonora eccessiva, ridondante, che vorrebbe enfatizzare ulteriormente, ma finisce per risultare fastidiosa o ridicolizzare alcune scene. A parte la scontatissima moralina sulla violenza che alberga all’interno della famiglia, il film manca proprio di quel pathos che, in modi magari discutibili, era una caratteristica dei passati film di Ozpetek. Titoli che si incentravano su scelte difficili, sul dolore, sulla perdita, sull’abbandono, con un tono sincero e partecipato che comunque colpiva anche in chi non ne condivideva lo stile. Una partecipazione e una sincerità che mancano in questo adattamento. ,Beppe Musicco