Martin è un insegnante di scuola superiore che sembra aver smarrito la scintilla vitale, soffocato da una cappa di apatia e passività. Una sera, mentre è a cena con i colleghi Tommy, Peter e Nikolaj, uno di loro condivide una teoria intrigante: secondo lo psichiatra norvegese Finn Skårderud, all’essere umano mancherebbero 0,5 grammi di alcol per litro di sangue; colmando questa carenza, si guadagnerebbe una maggior fiducia in se stessi diventando più audaci e aperti alla vita. I quattro amici, ciascuno alle prese con le proprie personali frustrazioni, decidono di sperimentare la teoria sulla loro pelle, in modo da studiarne gli effetti psicologici, relazionali e sociali.
L’idea che l’alcol possa costituire un antidoto ai mali dell’esistenza si perde nella notte dei tempi: sono numerose le culture che hanno considerato il vino alla stregua di un elisir divino, capace di confortare gli animi, ispirare la creatività e far dimenticare agli uomini la loro natura mortale. È proprio questa dimensione dionisiaca a venir riscoperta dai protagonisti di Un altro giro (Druk), improvvisamente sbalzati fuori dal torpore di una paralizzante crisi di mezza età. Non solo Martin torna a essere il carismatico professore di un tempo, guadagnandosi l’ammirazione dei suoi ragazzi, ma riesce perfino a ritrovare l’intesa con la moglie, con cui da anni vive un rapporto di mutua freddezza. Quando però i quattro amici decidono di andare oltre, raggiungendo il tasso massimo di alcol nel sangue, l’esperimento comincia a svelare i suoi lati più ambigui e distruttivi.
Con un alternarsi di toni che sfiorano la commedia per poi ripiombare potentemente nel dramma, il regista danese Thomas Vinterberg, affiancato dal co-sceneggiatore Tobias Lindholm, si tiene lontano da una celebrazione a senso unico dell’alcol il cui consumo, per quanto culturalmente accettato, si traduce spesso in una vera e propria piaga sociale (specie nei paesi nordici: stando alle statistiche, i giovani danesi sono i più forti consumatori d’alcol d’Europa). Il ricorso alle sostanze alcoliche, più che rappresentare un’illusoria promessa di felicità, diventa l’espediente per raccontare il bisogno fin troppo umano di evadere dagli automatismi della quotidianità – mai così opprimenti, peraltro, come in questi tempi di pandemia – per ritagliarsi uno spazio di libertà in cui tornare a respirare a pieni polmoni, riscoprendo energie e desideri che il tempo aveva sbiadito.
Sostenuto da un cast d’eccezione (Mads Mikkelsen su tutti) e coronato da un finale catartico, Un altro giro rappresenta un toccante tributo alla vita: anche se lo sfondo è quello amaro di una società dominata da isolamento e alienazione, una via percorribile, sembra dirci Vinterberg, è quella di accettare la nostra fallibilità e di trovare il coraggio di ristabilire una connessione profonda con la vita che ci circonda. Dopo i quattro premi agli European Film Awards (tra cui miglior film) e la vittoria ai britannici BAFTA come miglior film straniero, Un altro giro si è ripetuto nella stessa categoria agli Oscar – che si chiama ormai miglior film internazionale – con l’aggiunta di un’altra candidatura per la miglior regia.
Maria Giulia Petrini