Siamo a Napoli. Un Daspo tiene lontano dagli stadi Sandro, un uomo di cinquant’anni che ha consacrato la sua vita agli Apache, il gruppo ultras che non si perde una partita della squadra del cuore (il Napoli, che però non viene mai nominato). Rimane ancora il capo morale del gruppo e, insieme agli altri veterani, cerca di dare insegnamenti ai giovani che mordono il freno e vorrebbero a tutti i costi andare a Roma per bruciarla e sanare così vecchi torti. Tra i giovani c’è Angelo che venera Sandro e che vorrebbe vendicare Sasà, il fratello maggiore morto durante uno scontro tra polizia e tifosi. Tenerlo e farlo ragionare non è facile ma Sandro vorrebbe proprio cambiare vita e, chissà, farsi una famiglia con Terry di cui si è innamorato.
Esordio dietro la macchina da presa per Francesco Lettieri, rinomato regista di videoclip (anche per il cantante napoletano Liberato), con un film che prende spunto dal calcio per parlare anche di conflitto generazionale e marginalità. Pur senza mostrare mai immagini di una partita, Lettieri riesce a descrivere le passioni e le pulsioni violente delle frange più estreme del tifo (i supporter partenopei non si sono riconosciuti nel racconto anche per le scene in cui si vede circolare molta droga nel gruppo) ma gli interessa mostrare soprattutto il percorso di Sandro (molto bravo ancora una volta Aniello Arena, lanciato anni fa da Matteo Garrone con Reality) che aspira a una vita diversa, a valori nuovi (ci prova anche con Angelo, impersonato da Ciro Nacca) per i quali sarebbe disposto anche a rompere con i vecchi amici. Vuole dimostrare che cambiare è possibile anche se non è semplice compiere questo passo. Il film – uscito direttamente sulla piattaforma Netflix – inevitabilmente poggia molto su di lui ma è convincente anche l’interpretazione di Antonia Truppo nei panni di Terry: anche se non si vede moltissimo, l’alchimia con Arena funziona bene; rende bene il personaggio di una donna ferita e sospettosa che sceglie, tuttavia, di fidarsi di Sandro.
C’è poi il tema della marginalità o comunque della vita in periferia; il film è ambientato nei quartieri più popolari della città con un effetto quasi neorealistico che fa calare lo spettatore nella storia. Lettieri punta molto su attori al debutto come siamo stati già abituati a vedere in Gomorra (sia il film che la serie), La paranza dei bambini e L’immortale; pure in questo caso la scommessa si può dire riuscita, anche se si rischia l’effetto dejà-vu con i film citati. In sostanza un debutto interessante e riuscito con la scena iniziale e finale al di fuori di una chiesa, quasi a voler sottolineare la “sacralità” della vita del tifoso che non viene raccontata con toni romantici e idealisti, ma molto realisti. In Ultras alla fine c’è poco spazio per il sogno…
Aldo Artosin