Per un certo periodo fu molto popolare tra i cinefili (almeno tra gli appassionati di fantascienza) la frase “Klaatu Barada Nikto” che l’alieno della prima versione di “Ultimatum alla terra” (film del 1951 girato da Robert Wise) rivolgeva all’automa Gort, suo compagno di disco volante. Tratta da un racconto fantastico di Harry Bates, il primo film incarnava le paure della guerra fredda e ipotizzava un deus ex machina dagli argomenti convincenti (o smettete di fare la guerra tra di voi o vi distruggo) che con simpatica ingenuità ma con tempismo inseriva un messaggio di pace (o un monito divino?) tra le inquietudini della generazione cresciuta con lo spettro della guerra atomica. Ad Hollywood, purtroppo, nulla si crea e nulla si distrugge. Ecco quindi il remake del film, aggiornato alle paure del duemila (all’incubo della bomba si sostituisce quello della catastrofe ambientale e del terrorismo), con New York a fare da sfondo alla tragedia (Washington, teatro dell’invasione del primo film, ha perso appeal dopo l’11 settembre). Il messaggio dell’alieno, anche stavolta, è minaccioso nei confronti del genere umano, soprattutto dopo che l’esercito gli impedisce di parlare all’Onu e gli spara, mettendolo di cattivo umore (anche se l’equivoco per cui continua a dire “sono amico della terra” – omettendo di non esserlo degli umani che la popolano – ricevendo gli aiuti della protagonista, ha una certa sottigliezza). Neanche una lettura teologica della storia (per cui un Dio biblico che scatena le piaghe e il diluvio e poi si commuove dell’umanità, una volta incarnato, e sacrificandosi la redime) può bastare a rendere potabile questo film. La regia è svogliata e frettolosa, la sceneggiatura meccanica e condannata miseramente da dialoghi ridicoli e didascalici. Non si crea mai tensione, né mai meraviglia. L’alieno è interpretato da un tetro e monocorde Keanu Reeves, che si illudeva forse di tornare a scalare il botteghino con un altro kolossal di fantascienza dopo la trilogia di “Matrix”, ma la sua prova grigia è stavolta da dimenticare. Dovendo salvare qualcosa, ci sarebbe l’interpretazione di Jennifer Connelly, straordinaria e assolutamente sprecata. Jaden Smith, figlio di Will e Jada Pinkett, già visto in “La ricerca della felicità”, è talmente insopportabile che ci si augura che un raggio laser proveniente da marte lo raggiunga e lo disintegri al volo. Una domanda: dopo “La guerra dei mondi” di Spielberg e “Invasion” con Nicole Kidman, questo è il terzo remake della fantascienza anni Cinquanta ad aver toppato. Non è il caso di smettere?,Raffaele Chiarulli