Commedia all'italiana briosa e divertente diretta con garbo dall'attore regista Rolando Ravello, al debutto dietro la macchina da presa. Lo spunto è paradossale: una famiglia di estrazione popolare (lui è imbianchino, lei lavora in una grande villa come donna delle pulizie) si ritrova la casa occupata da non si capisce chi. Sporgono denuncia alla polizia ma non essendo in regola con il contratto la legge può fare poco. Dopo varie vicissitudini la famiglia si accampa sul pianerottolo nella speranza di far sloggiare gli occupanti. Ravello, forte della sua grande carriera di caratterista (ha lavorato tanto in televisione e al cinema in film come Diaz e Gli equilibristi di Ivano de Matteo che compare qui in una piccola parte) sa bene che la commedia all'italiana vive di scrittura, di quel particolare, unico equilibrio tra amaro realismo e gusto per lo sberleffo ma anche di facce giuste. E infatti Tutti contro tutti vanta un grande repertorio dei migliori caratteristi: a parte Marco Giallini che ormai da qualche anno si è ritagliato un posto di attore di primo piano, il film vive del carisma dello stralunato Ravello (nei panni del padre di famiglia), di Stefano Altieri (il nonno), Flavio Bonacci (il vicino di casa), il grande Antonio Gerardi (l'affittuario) e i soliti bravi Lorenza Indovina e Paolo Sassanelli. È grazie alla verve e alla professionalità di questi attori, al buon feeling che si instaura tra i protagonisti Kasja Smutniak, Giallini e Ravello e alla riuscita di molte gag che il film si inserisce a buona ragione nel filone classico della commedia all'italiana. L'idea infatti è quella di raccontare uno spaccato dell'Italia popolare senza ricorrere alla volgarità e d'altro canto affondando il colpo sui mali di oggi: la crisi economica, la disperazione del non arrivare a fine mese, i piccoli trucchi per arrangiarsi e sopravvivere, mostrando attraverso un tono ora grottesco ora leggero uno sguardo amaro (equilibrato solo da positivo punto di vista di un ragazzino) su un'Italia un po' meschina e imbrogliona. Non mancano i punti deboli: alcuni momenti sono sin troppo programmatici (la vicenda del campo rom, la divisione un po' stucchevole tra italiani egoisti e stranieri “aperti” all'ospitalità), altri sono semplicemente incompiuti o popolati da personaggi scritti male come il rapporto tra la figlia maggiore e un compagno di scuola e conseguenti, banalissimi, discorsi sul sesso: vi è qualche caduta di dubbio gusto (la vicenda dei trans, una critica alla Chiesa poco circostanziata) e il finale è troppo paradossale per essere credibile. Ma nel complesso il film è piuttosto compatto, scorre bene, ha momenti davvero gustosi e con realismo restituisce pezzi di un'Italia popolare e cialtrona, la stessa Italia di venti, trenta, quarant'anni fa dei vari Sordi, Tognazzi, Gassman e di tanti, grandissimi caratteristi.,Simone Fortunato,