La Sicilia di Tuttapposto – e dell’Università inventata di Borbona Sicula – vuole essere esente dai luoghi comuni di tanti film, fa capire la voce fuori del protagonista Roberto. Lui è uno studente universitario, scarsamente impegnato dal momento che con il padre rettore, lo zio docente e gli altri baroni legati da parentela (la famiglia Mancuso è ovunque, per via diretta o per congiunti) o servilismo al suo potente genitore, non si deve dannare l’anima per passare gli esami e avere voti alti. Ma l’incontro con l’integerrima Irina, studentessa russa in Sicilia per l’Erasmus, e le sue gaffe con lei proprio mentre cerca di far colpo, lo convincono a ribellarsi al sistema (non ci sono solo le raccomandazioni, ma anche corruzione, assenteismo, molestie) e ad aderire alle proteste di un gruppetto che chiede onestà, trasparenza e meritocrazia con i quali realizza un’App per smartphone che si chiama “Tuttapposto” e che permette di valutare l’operato dei professori. Così i ruoli si scambiano: ora sono gli studenti ad acquisire un potere inaspettato, mentre i professori sono costretti a rigare dritto per avere tante punteggi alti stile Tripadvisor. Così facendo, però, Roberto si mette anche contro anche al (detestato) padre.
Pur se con il tono leggero della commedia, Tuttapposto – diretto in maniera funzionale da Gianni Costantino, al suo secondo lungometraggio – vorrebbe far riflettere sulle storture di un sistema universitario corrotto e fabbrica raccomandati (e servi). Se la descrizione dell’ateneo e dei suoi docenti ha qualche momento gustoso (con citazione specifica per la figura dell’assistente del padre), il rapporto padre – figlio è piuttosto piatto (e Luca Zingaretti sembra recitare con il pilota automatico, un po’ come ne Il vegetale come spalla di Fabio Rovazzi), e semmai è la madre (l’ottima Silvana Fallisi) a regalare qualche momento divertente. Soprattutto, la storia con Irina – pur senza lieto fine – appare forzata, poco credibile, anche un po’ appiccicata. Meglio i duetti con gli altri giovani con cui Roberto va a vivere, dopo aver rotto con la famiglia, e a condividere le “lotte”. Ma son spunti un po’ slegati, in film che ha troppe pause.
A funzionare sembra, in definitiva, soprattutto il protagonista stesso. Comico tv che arriva al cinema con maggiore verve di altri suoi recenti predecessori, Roberto Lipari è interprete, cosceneggiatore e voce fuori campo (ma per fortuna non regista), oltre tutto con un personaggio suo omonimo. Si sorride e qualche volte si ride, di situazioni banali o tirate via non se ne vedono anche se si attende per tutto il film un cambio di passo deciso che non arriva; e nel finale la retorica è tenuta a freno a fatica. Ma Lipari, come comico, sembra avere i tempi giusti per funzionare anche al cinema. Per rimanere in tema, supera il suo primo esame cinematografico.
Luigi De Giorgio