Woody, Buzz e tutta la compagnia di giocattoli sono ormai proprietà della piccola Bonnie, cui sono stati regalati da Andy. Anche lei cresce, e l’iniziare ad andare all’asilo la stimola a creare un nuovo pupazzetto con una forchetta di plastica, uno scovolino da pipa e poco altro. Forky (questo il suo nome) però non ha alcun desiderio di essere un giocattolo, ambisce più e più volte al cestino della spazzatura, cui crede di essere destinato in quanto solo una posata “usa e getta”, a dispetto di tutte le volte in cui viene recuperato da Woody; vuoi per un sincero affetto del cowboy per tutti i suoi compagni, vuoi per cercare di riconquistare una posizione nei confronti della piccola Bonnie, dalla quale comincia a sentirsi trascurato. L’ennesima fuga di Forky, che si butta dal finestrino del camper mentre la famiglia è in vacanza, mette a rischio anche Woody che si lancia all’inseguimento. Nel tentativo di ricongiungersi agli altri al parcheggio dei camper, i due finiranno in un negozio di cose vecchie dove troveranno una bambola dal comportamento inquietante, Gabby, e la sua corte di pupazzi da ventriloquo. Ma soprattutto incontreranno Bo Peep, la pastorella di porcellana (già nel primo Toy Story) per cui Woody aveva un debole.

Non si può negare che anche il critico si accosti a Toy Story 4 con un certo rispetto e molta curiosità: rispetto perché la Pixar ci ha abituati dal primo episodio, ma anche in tutti suoi altri titoli, a un livello totalmente nuovo di narrazione animata, originalissimo nei personaggi e nel trattare temi che toccano la sensibilità dei più piccini come degli adulti; e curiosità perché la saga di Toy Story  è un caso rarissimo di serie (o franchise, come dicono gli americani) in cui il secondo e terzo episodio non sono affatto inferiori al primo. Anzi, chi ha visto Toy Story 3   (citato più volte: anche qui c’è una prigionia con relativa fuga e molti altri rimandi) sa benissimo che raggiunge livelli emotivi in grado di commuovere anche gli spettatori dalla scorza più dura.

Il rischio quindi era altissimo: sarebbero stati mantenuti gli stessi livelli di qualità, tensione e comicità (perché – non dimentichiamolo – son tutti film che fanno anche ridere, e parecchio)? Il regista Josh Cooley e gli sceneggiatori (tra cui John Lasseter, storico fondatore della Pixar – che peraltro ha nel frattempo lasciato l’azienda a seguito delle accuse di molestie e comportamenti inappropriati – e Andrew Stanton, già regista di Nemo e Wall-E) hanno confezionato questa volta una storia “a misura di Woody”. Non che il cowboy di pezza – cui dà voce in italiano Angelo Maggi, che sostituisce lo scomparso Fabrizio Frizzi – non fosse già ampiamente protagonista negli scorsi episodi, con le sue capacità di leader, o già tentato dall’immortalità come nel secondo episodio; ma questa volta Woody si interroga seriamente sul suo futuro, combatte con la propria coscienza, consapevole com’è di essere ormai un giocattolo datato; desideroso di dire la sua, anche perché spontaneamente incline ad aiutare chi ha bisogno, a sostenere chi è più debole, a dare il suo contributo; e che giustamente non si rassegna (lui, che con un po’ di giustificata vanità si sente anche un leader) a finire in un armadio. Giocando su questi contrasti, con l’aiuto di Buzz Lightyear come spalla comica di gran classe e di altri personaggi (su tutti il pupazzetto motorizzato canadese Duke Caboom, in originale con la voce di Keanu Reeves), Toy Story 4 arriva a una svolta nodale nella vicenda della banda dei giocattoli.

C’è chi dice che la saga poteva concludersi felicemente e perfettamente con il terzo episodio e che di altro non ci fosse bisogno. Può darsi. Ma a noi questo nuovo capitolo è piaciuto molto: nuovi temi e protagonisti vecchi o appena comparsi vengono positivamente introdotti, i legami di amicizia rafforzati, nonostante scelte anche dolorose. Soprattutto ci sembra che se ci saranno altri episodi di avventure che vedranno come eroi uno o altri personaggi di questa bizzarra compagnia, cui ci siamo affezionati ormai da ventiquattro anni, ci saranno sempre bambini (giovani o meno giovani) in grado di apprezzarli e sentirli amici.

Beppe Musicco