Top Gun di Tony Scott rimane uno dei manufatti spettacolari per eccellenza dell’America dell’era Reagan: un simpatico mix tra machismo e culto del motore. Il film era essenzialmente e smaccatamente una pubblicità di reclutamento per l’Air Force; e se la descrizione dell’aviazione da combattimento come il regno di piloti da caccia impegnati in combattimenti aria-aria era un anacronismo anche nel 1986, oggi è certamente quasi inesistente; il che è qualcosa che Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski non può che ammettere. In questa era di guerra con i droni, Peter “Maverick” Mitchell (Tom Cruise) è un pezzo da museo ambulante, che vola ancora ben oltre l’età standard di un aviatore militare, perché sa che se va in pensione, un’intera epoca finisce con lui. Maverick è il protagonista di una resa dei conti tra l’elemento umano dell’aviazione, rappresentato dall’eroe tutto americano di Cruise, e l’inesorabile marea di aerei senza pilota.
Questa sfacciata nostalgia occupa gran parte della prima metà di Maverick, dalla narrazione che rispecchia quella del film originale ai temi riutilizzati della vecchia colonna sonora di Harold Faltermeyer. I richiami a battute citabili e momenti memorabili del film originale sono abbondanti, con Maverick che si ritrova persino nella stessa scuola di addestramento al combattimento d’élite in cui si è diplomato, ma questa volta come istruttore. L’uomo è stato obbligatoriamente incaricato dal suo vecchio compagno Iceman (Val Kilmer), ora ammiraglio, di preparare uno squadrone per una missione ad alto rischio, per distruggere un impianto di raffinazione dell’uranio, strategicamente fortificato e in costruzione in uno “stato canaglia” che, come nel caso nel primo Top Gun, viene lasciato senza nome; ci sono la neve e le montagne, che sia la Svizzera? Mah, vedete voi…
La Charlie di Kelly McGillis non c’è più, il che costringe il film a trattare la Penny di Jennifer Connelly, barista e madre single, come un avvenimento dirompente dal passato. Come pure dal passato ritorna il disagio di Maverick per il suo ruolo di istruttore e il suo persistente senso di colpa per la morte di Goose, il suo vecchio gregario. È una ferita che si è riaperta quando il figlio di Goose, Bradley “Rooster” Bradshaw (Miles Teller), viene inserito nel programma per diventare uno dei migliori piloti della Marina. Purtroppo, queste storie non raggiungono mai la risonanza emotiva a cui sembrano aspirare: le interazioni di Maverick con Penny si riducono a semplici e brevi scambi sulla sua storia di inaffidabilità, mentre Rooster ritiene Maverick responsabile della morte di suo padre, anche se dovrebbe essere sufficientemente addestrato per conoscere la precarietà del combattimento aereo. Per inciso, il breve cameo di Kilmer, in quello che ha la sensazione di un canto del cigno, ha molto più peso di qualsiasi cosa direttamente correlata alla storia. La necessità di centrare Maverick riduce anche i personaggi più giovani a rumori di sottofondo, il che è un peccato poiché il film è più interessante a livello di caratterizzazione quando mette in luce la durezza di Phoenix (Monica Barbaro) o l’arroganza spericolata di Hangman (un viscido Glen Powell).
Ma la vera attrazione è, ovviamente, l’azione; e Kosinski (Tron: Legacy, Oblivion) conferma il suo talento per il cinema di intrattenimento per tutta la durata del film. Il defunto Tony Scott è stato uno dei grandi registi di successo di tutti i tempi, ma Top Gun: Maverick prende vita in modo spettacolare ogni volta che un obiettivo grandangolare lavora per enfatizzare la forza G esercitata sul corpo umano durante le manovre aeree ad alta velocità: lo schermo sembra tremare, non solo come riflesso dei movimenti degli aerei, ma anche della posizione dei loro piloti, spinti fino al punto di svenire. I colpi di frusta e i rapidi movimenti catturano il modo in cui un jet supersonico può apparire improvvisamente dal nulla e il film sottolinea, senza soccombere all’incoerenza, quanto possa essere travolgente e sconcertante un combattimento così fulmineo.
Il climax del film abbraccia così a fondo la pura cinetica dell’azione, che non fa altro che sfidare a ogni virata la fisica convenzionale. La missione stessa è palesemente modellata sulla corsa in trincea della Morte Nera di Star Wars, e gli ultimi 20 minuti richiamano il tipo di gioiosa assurdità che ti aspetti da un film di Mission: Impossible. Disaccoppiando il materiale da un contesto politico globale più mirato, Maverick non è forse un’opera di propaganda minore dell’originale Top Gun, ma ci concede completamente al grandioso divertimento che ha segnato il meglio dell’azione di Tom Cruise.
Beppe Musicco