I bambini raccontano un sacco di bugie, e da Pinocchio in poi non è mai stata una novità. Però è particolarmente felice il modo col quale la regista Céline Sciamma racconta in Tomboy (presentato al Festival di Berlino) la storia di una bugia, grossa e non senza conseguenze, in un ambiente di ragazzini in una spensierata estate francese alle prese con corpi goffi e ormoni che iniziano a far capolino.,“Tomboy” in inglese vuol dire maschiaccio: Laure, 10 anni (Zoe Heran), si trasferisce coi suoi genitori (Sophie Cattani, Mathieu Demi) e la sorellina (Malonn Levana) in un nuovo condominio nella verde valle della Marna, vicino a Parigi. Vestita in jeans e t-shirt, e con i capelli biondi tagliati corti, Laure può facilmente essere presa per un bambino. E ne approfitta, dicendo con naturalezza di chiamarsi Michael a una vicina della sua età, Lisa (Jeanne Disson), che così la fa entrare in una banda di ragazzini locali appassionati di calcio, esattamente come lei. Con l'estate che passa rapidamente e la scuola che si profila all'orizzonte, Laure non può che cercare di mantenere il trucco il più a lungo possibile, soprattutto di fronte all’evidente cotta di Lisa per il suo alter ego maschile. Quando però è obbligata a far partecipe della sua falsa identità anche la sorellina minore, le cose ovviamente prendono una svolta tragicomica, e sarà giocoforza per Laure/Michael riprendere la sua vera identità.,Sarebbe stato facile ricavare dalla storia una vicenda strappalacrime o un pretenzioso studio psicologico, ma la Sciamma riesce a trovare il lato giusto e divertente anche in situazioni che altri avrebbero trasformato in scene scabrose. La regista adotta un approccio molto in stile francese, mostrandoci con grande sensibilità una famiglia normale, con due genitori che si amano e che aspettano con trepidazione la nascita del loro terzo figlio. Il film sembra spiare Laure da una giusta distanza, senza nasconderne i punti deboli, e con uno sguardo tenero verso tutta la banda; il punto di riferimento della Sciamma è probabilmente il François Truffaut de I 400 colpi, con ragazzini che (molto realisticamente) sembrano sempre nel loro elemento, sia che si impegnino in battaglie d'acqua, che a giocare al gioco della verità, che a ostentare quelle piccole crudeltà tipiche della pre-adolescenza. Girato quasi nei dintorni del condominio o a casa di Laure, Tomboy approfitta di una luce solare che si riverbera nei volti dei ragazzi, nella loro sincerità e nelle loro bugie, riportandoci a un’atmosfera che, se non fosse per qualche evidente richiamo contemporaneo, potrebbe benissimo appartenere alla spensieratezza degli anni 60., ,Beppe Musicco,