Il tredicenne Xiao Cun ha un grande talento: suona il violino da quando è bambino, forse per compensare la morte della madre che non ha mai conosciuto. Più ancora di lui, è il padre che sogna per lui un grande futuro da musicista. E per questo, campagnolo ingenuo e poverissimo, lo porta a Pechino dove affronta sacrifici e umiliazioni per pagargli le lezioni da un maestro (decaduto). E quando questi si dimostrerà un limite per il figlio (che però gli si era affezionato), lo porterà da uno dei migliori maestri della città. Intanto, il ragazzo si innamora di una giovane donna, che lo tratta come un fratellino, ed è disposto per lei anche a vendere il violino…,A dieci anni dal suo maggiore successo (“Addio mia concubina”), Chen Kaige racconta una bella storia di formazione, di talento da far fruttare e di rapporto (con sorpresa finale) tra un padre e un figlio in maniera nobile e un po’ inerte. Il film stenta a decollare e ad avvincere l’attenzione degli spettatori, ma pian piano si entra in una storia ricca di sfumature (ma anche, ahinoi, di limiti narrativi e di ritmo). Nell’ambito di un classico film d’essai con le radici in Cina e l’occhio rivolto al mercato internazionale, Kaige si perde un po’ e illanguidisce l’anima del suo film, che pure presenta non pochi motivi di interesse. Soprattutto la capacità di sbozzare una galleria di bei personaggi principali (il ragazzo talentuoso ma indisponente verso il generso padre, il genitore generoso e naif) e secondari (la ragazza “facile” ma al dunque prodiga, il maestro triste e quello pragmatico e spiccio ma capace di riconoscere il talento, la ragazzina invidiosa del “collega” violinista…). Molti luoghi comuni (“la tecnica si può insegnare, ma è il sentimento che è più importante e non si insegna…”), alcune scene madri un po’ prevedibili e il sospetto generale della maniera, ma la parte finale in cui si svela il segreto del “padre” con un flash-back emozionante rimette tutto al suo posto, o quasi.,

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