C’erano anche i danesi tra i coloni sbarcati in America per fuggire dalle guerre europee e rifarsi una vita e a quanto pare erano dei veri duri. Il danese Levring (che faceva parte del giro di Von Trier, ma qui sembra piuttosto ispirarsi a Sergio Leone) mette insieme un cast internazionale di primo livello per raccontare una storia di vendetta lineare e per certi versi prevedibile, ma convincente, asciutta e piena di tensione. È un film in cui la gente parla poco (Eva Green addirittura nulla, visto che il suo personaggio è muto causa taglio della lingua ad opera degli Indiani), ma agisce spinta a motivazioni fortissime.
La crudeltà della frontiera non lascia scampo: Jon, ex soldato che sperava di essersi lasciato alle spalle la violenza della guerra e ha lavorato duro sette anni per offrire alla sua famiglia un futuro, non fa a tempo a sorridere ritrovando moglie e figlio che li perde per mano di un galeotto appena uscito di prigione. Non ci mette molto a fargliela pagare, ma non sa che quello è solo l’inizio. Il delinquente, infatti, è il fratello di un altro ex militare, uno che ora spadroneggia in un villaggio dove il sogno americano è già finito… C’è da far soldi con il petrolio, e la connivenza di sindaco e sceriffo si compra con i soldi o le minacce.
Montaggio e fotografia (tra un sole che non lascia scampo e notti profilate per sembrare ancora più inquietanti) contribuiscono a creare un racconto che lascia poco spazio alla pietà. Pur senza compiacersene Levring racconta un mondo dove la violenza (e l’arbitrio con cui viene esercitata) domina in ogni momento. Lo sguardo dolente ma senza cedimenti di Mads Mikkelsen (che già era stato vendicatore implacabile in Michael Kohlhaas, inedito in Italia) accompagna lo spettatore in questo viaggio in cui fin da subito non sembra esserci spazio per la salvezza del titolo. Del resto non è un caso che lo sceriffo codardo sia anche il reverendo del paese, che non si fa remore a sacrificare le sue pecore per salvare il gregge… O forse solo se stesso.
La via danese al western, che deve più al nostro spaghetti western che ai classici americani, omaggia la sua origine scandinava forse proprio in questa disperata visione dell’avventura umana, in cui i sogni vengono spezzati prima ancora di poterli coltivare e non sembra possibile salvare una vita se non a prezzo di un’altra. Il coraggio non manca, ma il mondo è fatto di tradimenti e disperazione (come quella che si legge negli occhi della muta Green, bellissima e intangibile, ma capace di impugnare anche lei un fucile). E il prezzo della giustizia è un mucchio di cadaveri lasciato tra le pompe che aspirano il petrolio, ricchezza oscura che già racconta la fine dell’epoca eroica dei pionieri.
Luisa Cotta Ramosino