In The Quiet Girl, la protagonista è la piccola Cáit, 9 anni, una bambina tranquilla e silenziosa che passa le sue giornate in solitudine, trascurata da una famiglia disfunzionale e sovraffollata. Con l’arrivo dell’estate, prima che la madre partorisca un nuovo bambino, viene mandata dai genitori a passare qualche mese con una coppia di lontani parenti, Eibhlín e Seán Kinsella. Sotto la loro cura la bambina rifiorirà, ma in questa casa dove non dovrebbero esserci segreti ne scopre uno.

Esordio alla regia per l’irlandese Colm Bairéad, The Quiet Girl è l’adattamento per il grande schermo di Foster, racconto breve scritto da Claire Keegan nel 2010. Ambientato nell’Irlanda rurale degli anni 80, quello di Bairéad è un film sul tema della famiglia, del rapporto genitori figli e sull’abbandono, visto attraverso gli occhi di Cáit, ottimamente impersonata da Catherine Clinch. La protagonista è una bambina che con il silenzio e l’isolamento cerca di difendersi da una famiglia contadina povera in cui la madre è sfinita dalle continue gravidanze, il padre è un giocatore d’azzardo anaffettivo e le sorelle pensano più a prenderla in giro per la sua “stranezza”.  I Kinsella hanno anche loro una fattoria, sono decisamente più benestanti e hanno una cultura del lavoro molto marcata, soprattutto Seán (Andrew Bennett). Entrata in casa loro Cáit viene subito accolta con tenerezza e dolcezza da Eibhlín (Carrie Crowley) mentre il marito è molto burbero, distaccato e scostante. Ed è proprio tra lui e Cáit che si innescano le dinamiche più interessanti del film. Lentamente l’uomo si scioglie con piccoli gesti di apertura (un biscotto lasciato sul tavolo) e di sguardi furtivi; è lui, ad esempio, a intravedere un talento nella bambina (la velocità). Il loro, è un rapporto di pochissime parole che scena dopo scena si consolida. Lentamente scopriamo anche il trauma che ha sconvolto la vita dei due coniugi.

The Quiet Girl è un film in cui si respira costantemente un’atmosfera di tensione, come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa di irreparabile; come se qualcosa o qualcuno potesse interrompere quell’atmosfera di affetto trattenuto che sta riportando alla vita tutti e tre i protagonisti. In realtà siamo condotti all’interno di un racconto che è anche una piccola storia di formazione e crescita perché Cáit, una volta tornata a casa sua, scoprirà di essere completamente cambiata e di aver provato e beneficiato di piccoli gesti di attenzione che non aveva mai vissuto prima. Non le resta quindi che correre verso un futuro che non si sa quale sarà ma la parola finale da lei pronunciata siamo sicuri che toccherà il cuore di ogni spettatore. Per Colm Bairéad si tratta di un ottimo esordio; il racconto scorre fluido malgrado qualche schematismo di troppo; è facile, ad esempio, schierarsi dalla parte dei Kinsella rispetto alla famiglia naturale della protagonista.  Il film è stato nominato agli Oscar per l’Irlanda come miglior film internazionale (è recitato in gaelico) ed è considerato come uno dei miglior lungometraggi irlandesi di sempre.

Stefano Radice

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