Il filone “alla Indiana Jones” è stato recentemente rivitalizzato con successo dal nuovo Jumanji e dal disneylandiano Jungle Cruise, ed è difficile non pensare che anche The Lost City in fondo sia stato realizzato per mettersi nella stessa scia di successo e incassi. Com’è altrettanto vero che il film ricalca nell’impostazione uno dei film di maggior impatto del 1984, All’inseguimento della pietra verde, diretto da Robert Zemeckis (e se non l’avete mai visto credetemi, val la pena di recuperarlo), con Michael Douglas e una meravigliosa Kathleen Turner; quest’ultima in un ruolo molto simile a quello interpretato da Sandra Bullock: una solitaria scrittrice di successo che viene rapita e si trova catapultata nella giungla insieme a un fascinoso avventuriero, per cercare un misterioso tesoro.

Le affinità col suddetto film terminano in The Lost City con l’improvvisa quanto inaspettata uscita di scena dell’ex militare Jack Trainer (Brad Pitt) per lasciare la scrittrice Loretta Sage (una Bullock che deve evidentemente ostentare la sua magrezza) in compagnia del bell’Adam (Channing Tatum), il modello che compare sulle copertine dei suoi libri e che la accompagna sul palco in occasione dei tour di presentazione dei suoi romanzi. Ecco, forse la parte più divertente e originale del film è proprio all’inizio: quando, pressata dalla sua agente Beth (Da’vine Joy Randolph), Loretta è costretta, con effetti disastrosi, a indossare un’attillatissima tuta di paillettes fucsia e improvvisare dei passi di danza con un Adam dalla lunga chioma. E le scene più ridicole sono quelle nelle quali, in seguito al rapimento dei due da parte di un malvagio miliardario Fairfax (Daniel Radcliffe, mai più ripresosi dopo aver abbandonato le vesti di Harry Potter), la mascolinità del belloccio Adam viene sempre messa alla prova dai rudi modi di Brad Pitt, una serie di siparietti nei quali i due spingono al massimo e con successo le loro caratterizzazioni.

Ma dopo questo avvio tutto sommato scoppiettante, il film entra nella scontatezza dei cliché con i cattivi pronti a fare strage di chicchessia e i buoni in attesa del deus ex machina che venga a salvarli. Per accontentare tutte le etnie e non lasciare che sia un affare solo tra bianchi caucasici, l’assistente afroamericana della Bullock si aggiudica una sottotrama in compagnia di un pilota latino-americano e della sua capra (e anche qui i cliché si sprecano). Ma è poca cosa, almeno quanto la surreale cinica ferocia di Radcliffe, che si sente sempre obbligato a dimostrare di non essere più il maghetto.

Che è la dimostrazione che anche degli attori di sicuro successo possono far poco quando a un certo punto le idee vengon meno.

Beppe Musicco

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