Lo scrittore Lev Tolstoj, l’autore di romanzi immortali come Guerra e Pace e Anna Karenina morì nel 1910 nella stazioncina ferroviaria di Astopovo (quella del titolo) dispersa nella steppa russa, in fuga dalle tensioni familiari, confuso e delirante, l’ombra dell’intellettuale geniale e autorevole che era stato, ispiratore di milioni di persone oltre che interprete profondo dell’anima russa.,Michael Hoffman, ispirandosi ad un romanzo, trae spunto da questo ambiguo epilogo per costruire un affresco sul contrasto tra amore umano e spinta ideale, tra la passione terrena e fisica da un lato e quella ascetica e spirituale dall’altro, dove però la confusione nella messa in scena non aiuta il pubblico a comprendere chiaramente quale sia la tesi dell’autore.,Al centro della vicenda c’è l’anziano Tolstoj, il cui cuore, ma anche i beni terreni, sono contesi da un discepolo dall’aria un po’ ambigua (l’infido Paul Giamatti), ma dai motivi apparentemente specchiati, e dall’amore esigente, appassionato e talora soffocante della moglie Sofja, che reclama rumorosamente i diritti di un matrimonio cinquantennale.,A fare da spettatore inevitabilmente partecipe un giovane dall’animo puro, che condivide gli ideali di Chertcov, ma viene inevitabilmente commosso dal romanticismo inerme e dai ricatti ingenui di Sofja. Che la passione terrena abbia dalla sua carte potenti lo dimostra la facile resa di Valentin (fino a quel momento, coerentemente con il suo credo, vergine) alle profferte della bella Masha, ospite della “comune” fondata dai “tolstojani” di cui la ragazza ha una personale idea un poco sessantottina.,A questa resa di fatto, però, non corrisponde in Valentin una presa di posizione chiara; tanto che il giovane, al momento della scelta suprema, con la fuga del maestro, si schiera dalla parte dello spirito anziché del cuore, salvo poi pentirsi all’ultima ora.,In mezzo ai contendenti un Tolstoj ora troppo ascetico e spirituale per i bisogni di Sofja (che rivendica il proprio ruolo anche nel processo di creazione artistica dello scrittore), ma anche troppo umano per coloro che ne vorrebbero fare un Santo, un simbolo e un martire. Un conflitto questo, che assume un valore simbolico anche in rapporto alla “proprietà” ideale dell’opera di Tolstoj, che non si può ridurre di certo a una sublimazione del dato biografico ma neppure a una speculazione ideale slegata dalla carne che l’ha prodotta.,Il punto di vista, ingenuo ma sostanzialmente positivo, è quello di Valentin, che diventa a sua volta oggetto di contesa, con la sua tensione ideale troppo facilmente messa alla prova dalla debolezza della carne, ma ancor più dall’esigente pretesa del sentimento.,Se sulla sua vicenda il pubblico non fatica a prender posizione (grazie anche la splendida performance di Helen Mirren nei panni di Sofja), più ambiguo (e certo molto al di là della volontà degli autori) resta il quadro di Tolstoj, della sua famiglia e del suo entourage, un difetto forse non del tutto perdonabile in una pièce come questa, quasi un pezzo a tesi. ,Laura Cotta Ramosino,

The last station
Il giovane e idealista Valentin Bulgakov viene scelto come segretario dell’anziano scrittore Tolstoj e si trova coinvolto nella lotta per la sua eredità…